Al carcere di Brissogne è di nuovo allarme sovraffollamento

carcereBRISSOGNE. Celle sovraffollate, condizioni igieniche da migliorare, problemi gestionali, predominanza di stranieri e un forte turn over: la situazione della casa circondariale di Brissogne è ben lontana dal migliorare.

A mettere l'accento ancora una volta sulla condizione precaria del carcere valdostano è il Garante dei diritti dei detenuti, Enrico Formento Dojot.

Nel 2018 la struttura è tornata ad ospitare più persone di quelle che potrebbe: 221 a fronte di 181 posti regolamentari. 153 sono stranieri, poi ci sono i collaboratori di giustizia italiani. «Nel corso del 2018 una sezione è stata chiusa e quelle aperte, di conseguenza, sono più affollate», spiega Formento Dojot.

L'eccessiva popolazione carceraria è soltanto uno dei problemi della casa circondariale. Per usare le parole di Formento Dojot, «Brissogne oggi più che mai riveste il ruolo di "polmone" rispetto a criticità di affollamento di altre istituti limitrofi». Quando cioè altre carceri italiane sono al collasso, i detenuti vengono spostati a Brissogne per il tempo necessario. Poi vengono ritrasferiti provocando «un elevato turn over e un'abbondante presenza di stranieri».

Tanti detenuti che cambiano spesso, mancanza di spazi, problemi con le docce e, a livello di gestione, nessuna linea di azione ben definita. «L'assenza di una precisa identità - dice a tal proposito Formento Dojot - si ripercuote anche sulle iniziative promosse in tema di lavoro e di formazione», quelle che aiutano i detenuti a rifarsi una vita lontana dall'illegalità una volta scontata la condanna.

«È statisticamente provato - sottolinea il garante - che l'acquisizione di abilità e la loro spendibilità al ritorno alla vita libera è di gran lunga il migliore antidoto alla recidiva, che viene abbattuta drasticamente. Spesso i detenuti mi confidano di voler cambiare vita, ma quando si lasciano alle spalle le mura dell'istituto si scontrano con concrete e impellenti difficoltà nel rinvenire mezzi di sostentamento per sé e per i loro cari».

 

 

 

 

 

Marco Camilli

 

 

 



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