Come già anticipato la settimana scorsa (leggi), oggi pubblichiamo l’intervista a una scrittrice valdostana della quale vi consigliamo caldamente di leggere l’opera prima: “L’assordante rumore di una foglia che cade”.
Avete presente la nitidezza dei rumori che si sentono in casa quando è notte e tutti dormono? Beh, il rumore di una foglia che cade diventa addirittura assordante nelle orecchie di chi soffre di disturbi mentali.
Monica Gorret, dipendente della Regione Valle d’Aosta, fa il suo esordio come scrittrice in età adulta: come mai ha scelto di cimentarsi in un lavoro così impegnativo?
In realtà, io scrivo da tantissimo tempo: nemmeno ricordo da quando. Il mese scorso, una mia professoressa delle superiori – una grande donna e insegnante, che ho da sempre nel cuore – mi ha ricordato che già allora scrivevo poesie e lei ne ha conservate alcune. A ogni modo, credo che sia parte di me. Non sono brava con le persone, nel senso che tendo a essere solitaria e a chiudermi, non mi sento mai molto a mio agio o all’altezza delle situazioni, per cui anche parlare non mi è facile. E preferisco scrivere. Mi serve perché di pensieri ne ho sempre tanti e anche di storie da raccontare. Inoltre mi aiuta: è come una terapia. Mi permette di “buttare fuori” dolori, situazioni…
La sua opera prima, “L’assordante rumore di una foglia che cade”, edito da Echos Edizioni, parla di Nicole. Giovane donna dei nostri tempi o riflesso perpetuo comune a molte donne, anche in anni passati?
Ovviamente la seconda. Nicole potrebbe essere una donna di oggi, così come di cinquant’anni fa. Certo, il racconto è stato imbastito per parlare anche e soprattutto con i giovani, quindi la situazione in cui Nicole va a cacciarsi è molto attuale, troppo tristemente attuale direi, e si tratta dei ragazzi “ritirati”, che si chiudono in casa (o, addirittura, in una stanza) e non ne escono per anni. Ma sono i motivi per cui Nicole si chiude in casa a essere attuali e antichi al tempo stesso, di oggi e di sempre.
Domanda classica. Me ne scuso in anticipo. Ma è d’obbligo. Quanto c’è di Monica in Nicole e viceversa?
Tantissimo. Non tutto, ovviamente, ma davvero tanto. Ed è grazie a questo libro che sono stata in grado di parlare di dolori che da quasi cinquant’anni tenevo dentro e che hanno condizionato la mia vita.
Il romanzo tratta lo spinoso argomento degli Hikikomori, al quale abbiamo dato spazio anche noi in questa rubrica (leggi). Come mai la scelta di affrontare proprio questo specifico aspetto, relativo alla malattia mentale?
Premetto che non ritengo il disagio degli Hikikomori una malattia mentale, ma più un disagio sociale, che può trasformarsi in malattia a lungo andare. Non nego che alcuni ragazzi che si chiudono in una stanza possano farlo per conclamate e precedenti malattie mentali o per una dipendenza – anche, ma non solo, da internet per esempio – ma molti di loro lo fanno per disagi e traumi talmente grandi e dolorosi che non gli permettono più di fidarsi di nessuno. Magari, proprio come succede a Nicole, a casa non si può parlare, se non di cose superficiali. A scuola hanno paura, con gli amici non osano per imbarazzo e, col tempo, sentono di non avere più nulla da condividere con questo mondo e con questa società. Certe volte la paura è talmente grande che solo le quattro mura di casa li fanno sentire al sicuro. Io, se avessi vissuto la mia giovinezza oggi, temo che sarei come loro. E, forse, proprio questa vicinanza mi ha spinta a scrivere una storia sugli Hikikomori. Perché li capisco, ma allo stesso tempo vorrei che trovassero un modo per uscire dal loro “fortino” e riprendessero in mano la loro vita.
A mettere Nicole sulla strada della psicoterapia è il nonno. In che misura le persone, ormai di una certa età, possono accettare l’esistenza di una malattia che non sia fisica?
A fatica, me ne rendo conto. Ma non sono tutti così, anzi. Alcuni anziani hanno idee e pensieri molto più aperti e moderni di tante persone di mezza età. Forse, perché dopo una certa età ci si preoccupa meno di ciò che pensano gli altri. Ed è sempre questo il problema: “Ciò che pensano gli altri!”.
Quali sono i progetti futuri di Nicole e quali quelli di Monica?
Nicole ha tutta una vita da vivere. Anzi, da riprendere in mano per ricominciare a vivere, così come il tempo perso… pur non considerandolo del tutto perso, se ne ha fatto la persona che è ora. Per quanto riguarda me, sinceramente non lo so. Sto facendo un percorso anch’io, finalmente, e spero di avere qualche risposta da cui partire. Non credo che smetterò di scrivere, come non potrei mai smettere di leggere. E, in testa, qualcosa di nuovo che frulla c’è già.
Barbara Giangravè
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