La psicologia della paura nella campagna elettorale americana

 

La psicologia della paura nella campagna elettorale americanaCorreva l’anno 2008. Io ero una giovane giornalista professionista, laureata e iscritta all’Albo dal 2006. Grazie a una borsa di studio concessami dal Dipartimento di Stato Americano, viaggiavo in lungo e in largo per gli Stati Uniti durante la campagna elettorale delle elezioni presidenziali che, in quell’occasione, videro salire sul carro del vincitore Barack Obama. Il primo Presidente nero del Paese a stelle e strisce. Chiesi e ottenni dal Dipartimento di Stato di assistere a un comizio di Obama durante la mia permanenza oltreoceano.

Fu un’esperienza che non saprei davvero in quale altro modo definire, se non “antropologicamente interessante”. Partecipare a un incontro elettorale dell’allora giovane candidato, sul quale puntava il Partito Democratico, mi consentì di osservare ancora più da vicino questa popolazione così eterogenea e variegata.

Nella maggior parte dei casi, gli Americani fanno spettacolo di tutto. Persino della politica. Forse, soprattutto della politica. Al raduno, infatti, ebbi l’impressione di trovarmi a un grande concerto a cielo aperto. Obama venne annunciato sul palco come se fossimo alla Notte degli Oscar e venne accolto dal pubblico contemporaneamente alla diffusione dalle casse di una musica da show in prima serata.

Da allora, sono trascorsi (ahimè!) ben sedici anni. Il mondo è andato avanti… regredendo sempre di più a uno stadio primordiale. Oggi (martedì 5 novembre 2024, n.d.r.), mentre vi scrivo, gli Stati Uniti d’America stanno nuovamente votando per eleggere il prossimo Presidente della nazione. Al di là della sfida tra Donald Trump e Kamala Harris – attuale vicepresidente di Joe Biden – ad attirare la mia attenzione, nel corso di quest’ultima campagna elettorale, è stata la psicologia della paura usata da Donald Trump per convincere gli elettori a votare per lui.

Quando leggerete questo articolo, forse sapremo già chi avrà vinto. O forse no. Ma, probabilmente, assisteremo al risultato di questo uso smodato della violenza psicologica del candidato del Partito Repubblicano nei confronti del suo stesso popolo.

Perché, vedete, indipendentemente da ciò che accadrà (abbiamo già assistito ai disordini dentro e fuori la sede del Congresso Americano, a Washington DC, il 6 gennaio 2021, provocati proprio da Trump), ho avuto modo di parlare con i miei contatti americani per sapere cosa sta avvenendo in queste ore nei cinquanta stati che compongono una delle più grandi potenze al mondo.

L’aspetto più preoccupante – come ognuno di loro ha tenuto a sottolinearmi – è il clima di ansia e timori per possibili nuovi disordini post-elettorali. Secondo un sondaggio Reuters/Ipsos, infatti, oltre il 70% dei cittadini è terrorizzato dall’eventualità che si verifichino gravi scontri, nel caso in cui i risultati del voto non soddisfino gli opposti schieramenti.

I Democratici sono i più ansiosi: il 90% di loro teme delle vere e proprie rivolte per le strade. Cosa che preoccupa di meno i Repubblicani, la cui percentuale di timorosi si attesta intorno al 60% circa.

In ogni caso, tutti questi milioni di persone sembrano destinati a trascorrere le ore – se non addirittura i giorni – dello spoglio elettorale con un mix di psicofarmaci e alcol. Un’accoppiata che non dovrebbe mai verificarsi, proprio per ragioni mediche, ma che i nostri “cugini” dall’altra parte del mondo non sono nuovi a utilizzare per fronteggiare i disturbi psicologici e psichici da cui molti sono affetti.

Nessuno è immune alle conseguenze che comporta uno stress del genere, ma sarà sempre la minoranza a scegliere di affrontare in maniera diversa i problemi legati alla salute mentale. Ed è proprio su quest’ultima che ha fatto leva Trump per raggiungere il suo obiettivo: tornare alla Casa Bianca. Quando si aggregano le folle intorno a un nemico comune – lo straniero, il diverso, il non americano puro in questo caso… come se ce ne fossero realmente e non fossero, invece, tutti “meticci” – è più facile centrare il bersaglio.

God Bless America”, Dio benedica l’America, cantava Irving Berlin durante la Prima Guerra Mondiale, nel 1918. Il brano venne poi rivisitato dallo stesso cantautore, in vista della Seconda Guerra Mondiale, nel 1940. A distanza di 84 anni, speriamo solo che non scoppi la Terza Guerra Mondiale… nonostante tutti i conflitti bellici già presenti nel pianeta non preannuncino niente di buono.

Alla fine, sapete cos’è la guerra? È la perfetta riuscita della psicologia della paura sulle menti delle grandi masse. Per rimanerne immuni, occorre compiere il gesto più coraggioso, politico e rivoluzionario che esista: pensare con la propria testa!

Che siate credenti oppure no, “God Bless… World”! O, come diceva il giornalista della CBS, Edward Roscoe Murrow,Good Night and Good Luck!”: “Buonanotte e Buona Fortuna!”.

 

Barbara Giangravè
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