Intervista al dottor Angelo Guarnieri: psichiatra e poeta genovese, amico di Alda Merini

Angelo Guarnieri con Alda MeriniNell’immaginario collettivo, gli psichiatri non godono di ottima fama. Sono i medici che curano i cosiddetti “pazzi”. Sono i sanitari che prescrivono gli psicofarmaci. Sono spesso considerati “pazzi” a loro volta per avere scelto di fare un mestiere del genere.

A una settimana dalla messa in onda del film diretto da Roberto Faenza, “Folle d’amore – Alda Merini, trasmesso su Rai Uno, abbiamo incontrato uno psichiatra che ha conosciuto la poetessa di Milano ma, soprattutto, ha lavorato per più di trent’anni nei Servizi Pubblici per la Salute Mentale della Provincia di Genova.

Il dottore Angelo Guarnieri ha curato la raccolta di poesie di Alda MeriniDopo tutto anche tu”, Edizioni San Marco dei Giustiniani (2003). Ha pubblicato, inoltre, le seguenti raccolte di poesie: Nel tempo del privato – Diario in forma di poesie e inversi frammenti 1997-1999, Caroggio (2000); Nel tempo dell’inganno – Dopo l’11 settembre 11 poesie, Le Mani (2002); Dintorni, Le Mani (2009); Tempo nostro, Il melangolo (2014), Passi per strada, Il Melangolo (2016), Lo sguardo del funambolo, Il Melangolo 2019.

Dottore Guarnieri, perché un ragazzo decide di studiare psichiatria?
È una bella domanda. Io mi sono chiesto se farlo, dopo avere conseguito la laurea in medicina. Il motivo della mia scelta è profondamente legato alla mia vita. Ho conosciuto il “male di vivere” da bambino, a causa della povertà della mia famiglia. Sono nato e cresciuto in Sicilia e ho visto la sofferenza dei miei genitori, che hanno fatto di tutto per me: per garantirmi un futuro migliore. Uno zio di mia madre è morto nel manicomio di Palermo, dove venne rinchiuso per avere commesso un omicidio. Uno zio di mio padre si suicidò e il padre di mio padre morì per un incidente sul lavoro, rendendo mio padre un giovane capofamiglia. Io sono stato un sessantottino e un militante di Lotta Continua: desideravo l’emancipazione e la liberazione delle fasce più povere della popolazione. Decisi di studiare psichiatria perché pensavo di dare un contributo al benessere dei malati. La psichiatria era in grande fermento in quegli anni e io desideravo realizzare così i miei ideali.

Cosa pensa della riforma Basaglia?
Tutto il bene possibile, perché ho visto nella riforma la riscossa delle persone che avevo scelto di aiutare. Conobbi personalmente sia Franco Basaglia che la moglie, Franca Ongaro. La riforma Basaglia è esistita solo in Italia. In tutto il resto del mondo, i manicomi sono rimasti aperti e sono tuttora attivi. Io conobbi quelli degli Stati Uniti d’America. Da psichiatra, il 2 novembre del 1979 feci il mio ingresso – per la prima volta – nel manicomio di Cogoleto, a Genova. Il manicomio di Cogoleto era quello in cui venivano ricoverate le persone di estrazione sociale più umile. Nel capoluogo ligure si faceva differenza tra ricchi e poveri persino in questo settore. I pazienti più abbienti, infatti, venivano ricoverati nel manicomio di Quarto.

Perché la riforma non ha mai avuto pieno compimento?
Perché in Italia si dibatté molto sulla liberazione, poi sfociata in abbandono, dei pazienti. Il mio punto di vista, da psichiatra e da psicoterapeuta, era che non si potessero lasciare queste persone senza alcun punto di riferimento. Inoltre, deve esserci sempre una sinergia tra terapia farmacologica e terapia psicologica. Dopo la prematura morte di Franco, la politica disinvestì sulla riforma. Del resto, le persone con problemi di salute mentale non costituiscono di certo un bacino elettorale da cui i politici possano attingere voti.

Com’è stata la sua esperienza professionale a Genova?
L’impatto non fu dei migliori. Alla prima riunione alla quale partecipai nel manicomio di Cogoleto notai subito la divisione tra i lavoratori. Da una parte stavano i medici e dall’altra stavano gli infermieri. Da un’altra parte ancora stavano gli assistenti sociali. Ricordo come se fosse ieri la puzza che mi colpì, appena varcai la soglia del manicomio: era un misto di liquidi organici, trinciato e sporcizia. La mia prima assegnazione, all’interno della struttura sanitaria, fu in un reparto costituito da appartamenti che, prima, erano stati occupati dal personale sanitario e dalle loro famiglie. L’obiettivo era quello di trasformare gli appartamenti in vere e proprie case-famiglia per aiutare i degenti a reinserirsi nella società. Coltivavano la terra, si occupavano dei maiali. Cogoleto era una vera e propria città nella città.
Dopodiché trascorsi un anno e mezzo al Centro di Salute Mentale di Sestri Ponente. Lavorai sempre nel settore pubblico e, anche questa, fu una scelta ben precisa che maturai quando, da studente, feci pratica presso la Clinica Psichiatrica Universitaria di Genova.

Oggi qual è la situazione della psichiatria in Liguria?
La Liguria ha fatto solo passi indietro in questo settore, abbandonando i malati alla loro solitudine. Quando io ero in servizio, le persone con problemi di salute mentale avevano il loro punto di riferimento nel settore pubblico. Oggi non è più così. A cavallo tra gli anni ’80 e ’90, il Pil destinato al Servizio Sanitario Nazionale ammontava all’8%. L’attuale governo ha fatto scendere questa cifra al 6,1%. Ai “tempi d’oro” persino l’Organizzazione Mondiale della Sanità lodava il livello dei nostri servizi sanitari, compresa la riforma del ramo psichiatrico. E, per nostri, intendo proprio quelli italiani. Oggi la psichiatria è in una fase di smantellamento perché tutti coloro che ne hanno bisogno sono considerati “figli di un dio minore”.

Da dove deriva la sua passione per la letteratura?
Anche questo ha origini antiche per me, che risalgono sempre alla mia famiglia e alla passione che avevano, in particolare, mia madre e mia zia per la poesia. Utilizzai proprio la poesia nel mio lavoro. Invitai i pazienti a scrivere delle poesie, le raccolsi in un libro e lo feci pubblicare. In quel frangente, ebbi anche la fortuna e l’onore di conoscere Alda Merini.

È per questo che ha curato una raccolta di poesie della Merini?
Sì, l’ho fatto perché ho molto apprezzato Alda e, infine, ho scritto e fatto pubblicare anche le mie di poesie… per consolare i miei affanni. La poesia è una terapia anche per me.

Ha visto il film diretto da Roberto Faenza su Alda Merini e trasmesso su RaiUno? Qual è la sua “critica”?
Complessivamente mi è piaciuto. Abile la regia, che è riuscita a fare emergere la vita e la poesia di Alda Merini. Sempre all’interno dell’assunto a me confidato da Alda e che recitava: “Più bella della poesia è stata la mia vita”. Paradossale, iperbolico, molto poetico nel legame che crea tra vita, storia e poesia. Poetico e rispettoso dei fatti per come li ho conosciuti. Alda Merini, giustamente, ne viene valorizzata. Brava e bella Laura Morante. Troppo bella forse. Ma questo non è un difetto. Si è immedesimata molto bene nel personaggio Merini. Unico difetto: non riusciva a essere chiara nella dizione delle poesie. Cosa che ad Alda riusciva perfettamente: comunicare flussi di emozione ed essere del tutto comprensibile. Comunicare da anima ad anima. E ascoltarla era un fenomeno entusiasmante. Unico, per quel che mi riguarda. Esperienza vitale e indimenticabile.



Barbara Giangravè
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