Anziani trovati morti ad Aosta: intervista ad Andrea Manfrin

Il capogruppo della Lega VdA: «Conoscevo purtroppo molto bene una delle due persone. Questo disagio va intercettato e serve una risposta tempestiva»

Nei giorni scorsi abbiamo avuto le notizie di due anziani trovati senza vita nei garage in cui vivevano. Questi episodi possono essere visti come una sfortunata coincidenza o come la punta di un iceberg. I due avvenimenti hanno come denominatore comune il fatto che le condizioni erano note alle istituzioni.
«Conoscevo purtroppo molto bene una delle due persone e ho provato ad aiutarla in prima persona. L'altro fatto è avvenuto nel garage del cortile dove abito io. Il problema credo sia il modo in cui i servizi sociali intervengono su queste criticità. È difficile trovare una persona che affitta un alloggio a chi non può dare garanzie e il fenomeno dei b&b ha un po' saturato il mercato, ma non è questa la causa. Il problema nasce nel momento in cui i servizi sociali non riescono a dare risposte di tipo abitativo che possano rendere autonoma la persona. Mi spiego. La persona che ho seguito e segnalato viveva in un garage due piani sotto terra, di 20/30 metri quadri, ingombro di oggetti e con uno spazio sufficiente tra la chiusura della serranda e gli oggetti per un sacco a pelo posato a terra. Immaginatevi una persona di 70 anni che ha passato Natale, Capodanno e il resto dell'inverno dentro un garage a quelle temperature e senza servizi igienici. I servizi sociali mi avevano detto che c'era disponibilità di alloggi in piazza della Repubblica con camere private e spazi in comune. Quando parlavano con l'anziano però gli proponevano un inserimento in stanze promiscue. Lui in quelle strutture era già stato: sono stanze condivise con persone con problemi di droga, alcolismo, che commettono furti. Se quell'uomo ha preferito passare un intero inverno in un garage, è facile immaginare come si viva nelle camere promiscue».

Ad Aosta, secondo alcune statistiche rese note recentemente, ogni assistente sociale segue circa 200 persone.
«Il problema del superlavoro c'è. Esiste un grosso numero di persone da seguire, ognuna delle quali affronta difficoltà come il non saper dove mangiare, dover dormire, dove farsi la doccia, se potrà vedere i figli dopo la separazione col coniuge e poi persone con anziani o disabili a carico. Immaginiamoci ogni giorno di dover "correre dietro" alle necessità di 200 persone. È un carico importante di lavoro e immagino crei un effetto di mitridizzazione. Succede anche a chi lavora per esempio negli ospedali: stare sempre a contatto con la sofferenza rende quasi immuni a questa. Si arriva ad una sorta di burn out: la persona da aiutare diventa un numero, un qualcosa da "sbolognare" per poter passare al caso successivo e arrivare a fine giornata. L'assistente sociale invece dovrebbe essere in grado di seguire pochi casi in maniera approfondita per aiutare le persone ad uscire dalla condizione di necessità e non diventare dipendenti da questo sistema per tutta la vita».

Nella nostra regione la povertà si è molto diffusa negli ultimi anni. Non solo anziani che vivono nei garage, ma anche senzatetto che trovano riparo per esempio lungo la Dora. Quante persone vivono in queste condizioni?
«È difficile stimarlo, ma penso svariate decide di persone. Recentemente una persona di ottant'anni è venuta a trovarmi e mi ha detto che viveva in un fienile. Subito non ci ho creduto, ma era effettivamente così. C'è una persona che vive dentro l'ospedale Parini. Questo disagio va intercettato e serve una risposta tempestiva».

Anche dunque nel caso del sociale, come per la sanità, esiste il problema della carenza di personale. A rimetterci sono le persone più fragili.
«E non solo. Un ente, una Regione, un'amministrazione deve poter far fronte alle necessità di chi non ha le disponibilità proprie per sostentarsi. La priorità è dare una sistemazione a queste persone, ma consideriamo anche che, nel momento in cui queste persone non si riescono a supportare, si viene a creare un danno sociale ed economico. Intervenire tempestivamente, intercettare il disagio per tempo permette un risparmio e dà anche più dignità a chi è in difficoltà, che continua così a sentirsi utile e non "mantenute" dalla società». 

 


Marco Camilli

 

 

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