I giovani(ssimi) e la salute mentale: l’importanza della prevenzione

I giovani(ssimi) e la salute mentale: l’importanza della prevenzioneLo spunto per l’argomento della rubrica “(In)Sani di Mente” di questa settimana me l’ha gentilmente fornito un’insegnante. Una delle tante, tantissime, componenti di quel gigantesco esercito di docenti che – pur provenienti dal Sud Italia – insegnano al Nord. Perché anche la scuola è uno di quei settori, come la sanità, che il nostro Paese non ha tutelato e sulla quale non ha investito. E lo dico da figlia e parente di insegnanti. Ma questa, in questo contesto, è un’altra storia…

Se ben ricordate, il secondo articolo di questa rubrica è stato l’, che ci ha spiegato a che punto è l’iter per l’istituzione della figura dello psicologo di base (non solo in Sicilia, ma anche nel resto d’Italia).

Nel corso delle mie sempre interessanti conversazioni con il direttore editoriale di questo giornale, Marco Camilli, che più volte mi ha sottolineato come la Valle d’Aosta sia la regione che tristemente detiene  e durante le mie altrettanto interessanti conversazioni con insegnanti di ogni ordine e grado, ho pensato sempre più spesso a documentarmi su un altro “stato dell’arte” in Italia… ma senza scomodare alcun politico.

Purtroppo, proprio di ieri è la notizia del suicidio di una studentessa di Medicina all’Università di Catania. La giovane si è uccisa lanciandosi dal settimo piano del Policlinico del capoluogo etneo.

Quasi a voler aggiornare l’età dei giovani o, meglio, dei giovanissimi che scelgono la stessa strada della studentessa universitaria catanese, la professoressa di lettere di una scuola media di provincia, in Lombardia, mi ha rivelato: “Ho avuto, tra i miei studenti, una ragazzina di 11 anni che ha tentato il suicidio. Per fortuna, la mia alunna non è riuscita nel suo intento ma, sfortunatamente, ha riportato delle conseguenze fisiche che, probabilmente, si trascinerà dietro per il resto della sua vita”.

La docente, che ha chiesto di rimanere anonima, ha così continuato: “L’aumento del tasso di suicidi in ambito formativo, in particolare quello scolastico, dipende molto dall’abuso dei social. Da atti di bullismo e, soprattutto, di cyberbullismo. Se prima, infatti, gli atti di bullismo erano circoscritti all’interno di una classe adesso, a causa della rete, diventano virali. Dietro questi poco più che bambini ci sono quasi sempre delle famiglie disfunzionali che peggiorano la situazione. Ed è così che questa diventa una guerra: una vera e propria sfida alla sopravvivenza”.

È vero anche – ha concluso l’insegnante – che questi giovani studenti non riescono a gestire neanche un brutto voto ricevuto a scuola perché hanno difficoltà a gestire, in primis, emozioni e sentimenti. Da una parte ci sono famiglie che nutrono grosse aspettative nei loro confronti e, quando queste vengono disattese, possono verificarsi episodi molto spiacevoli. Dall’altra, ci sono queste piazze virtuali in cui i ragazzini sfogano le loro frustrazioni senza, però, ricorrere a professionisti del settore… ahimè!”.

Il mio antico lavoro di giornalista mi ha insegnato che non è difficile ottenere le prime informazioni utili, effettuando delle ricerche mirate e incrociando i dati. Oltre che, naturalmente, verificandoli grazie a fonti attendibili. Ed ecco, quindi, che l’ultimo (a livello cronologico) documento disponibile al riguardo si trova sul sito della Camera dei Deputati.

Si tratta di due proposte di legge sulla “istituzione della figura professionale dello psicologo scolastico nelle scuole di ogni ordine e grado”, che ancora languono nell’attesa che il Parlamento le prenda in esame e decida la loro sorte.

In Italia, già negli anni delle legislature precedenti a quella attuale, sono state presentate delle proposte di legge, su iniziativa di deputati o senatori, che non sono mai approdate a un nulla di fatto.

Nonostante io abbia ormai una certa età, ricordo che i Cic (acronimo che indica i Centri d’Informazione e Consulenza) furono istituiti con il D.P.R. 309 del 1990 e regolamentati tramite successive circolari emanate dal Ministero della Pubblica Istruzione.

All’epoca, si trattava di un servizio complementare all’attività didattica, fornito agli studenti delle scuole secondarie superiori. Ai miei tempi, infatti, cioè negli anni in cui io frequentai il liceo – dal 1995 al 2000 – quello che veniva comunemente chiamato “Sportello Cic” era un progetto al quale aderivano alcuni insegnanti che si mettevano a disposizione per accogliere lo studente che ne facesse richiesta.

In pratica, se qualcuno di noi avesse sentito il bisogno di un supporto di tipo psicologico, avrebbe potuto recarsi allo sportello di cui sopra e parlare… con un insegnante del liceo. Provate a immaginare quanti di noi compirono quel passo…

All’inizio della loro esistenza, i Cic furono introdotti solo nelle scuole superiori. Adesso, invece, si trovano almeno anche in altre scuole di ogni ordine e grado. Badate bene: in altre, sicuramente in molte, ma non in tutte le scuole d’Italia. Oggi i Cic sono destinati all’ascolto di studenti, docenti, personale scolastico e persino genitori. E sono finalmente degli psicologi a lavorare nel loro ambito.

Gli anni della Pandemia, inoltre, hanno costretto gli istituiti a implementare questi strumenti ed è diventato sempre più evidente come l’età degli studenti che soffrono di disturbi psicologici si sia notevolmente abbassata.

Non è più solo l’ingrata fase dell’adolescenza quella in cui si manifestano problemi legati alla sfera della salute mentale, ma anche quella puberale e infantile.

Se tanto ci si adopera affinché la popolazione italiana faccia prevenzione contro i tumori e qualsiasi altra malattia di tipo fisico, non mi è ancora chiaro perché non ci si adoperi affinché la popolazione italiana – proprio quella composta dai giovanissimi, in questo caso – faccia prevenzione contro i disturbi mentali.

Si dice che “A pensare male si fa peccato, ma si indovina”. Frase attribuita a Giulio Andreotti – la “scatola nera” della Prima Repubblica – ma dal politico stesso ascritta invece ad ambienti clericali. Ed ecco che io, clero a parte, tirerei a indovinare.

Non è che, per caso, dato che i giovanissimi non possono votare, non fino al raggiungimento della maggiore età, non ci si adopera per loro perché non costituiscono alcun bacino elettorale?

Lungi da me ritenere che questa sia la verità. Anzi. Per una volta, mi piacerebbe tanto essere smentita dai fatti… che stiamo ancora aspettando. Come stanno aspettando alla Commissione Cultura della Camera dei Deputati le due proposte di legge sulla “istituzione della figura professionale dello psicologo scolastico nelle scuole di ogni ordine e grado”.

Infine, se posso aggiungere – anche a dispetto dei parlamentari che si sono spesi per l’attivazione del “bonus psicologo” – per quanto questo contributo economico sia una misura estremamente importante per alcune fasce della popolazione, non è sufficiente a combattere un problema che, ormai, è endemico.

 

Barbara Giangravè
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