Carcere e salute mentale: l’Associazione Antigone ci racconta una situazione molto preoccupante

 


Se ben ricordate, la settimana scorsa abbiamo parlato di un’Associazione di Padova che si occupa della salute mentale di chi commette dei reati: “Psicologo di Strada” ().

Comunque la pensiate rispetto alle misure restrittive per chi si macchia di un delitto, anche i detenuti sono delle persone e, in quanto tali, hanno il diritto di ricevere assistenza all’interno delle carceri.

Per questo motivo, tra gli altri, si batte da anni l’Associazione Antigone di Roma. Per conoscere meglio questa realtà, abbiamo parlato con una ricercatrice di Antigone: Sofia Antonelli.

Sofia Antonelli, associazione Antigone
Quando e come nasce Antigone? In che modo si sviluppa? Perché legare il nome di una tragedia greca all’Associazione?
Antigone, per i diritti e le garanzie nel sistema penale” nasce come associazione nel 1991, nel solco della omonima rivista, che aveva come oggetto la critica alla cultura dell’emergenza in ambito penale. Antigone promuove una cultura della legalità penale ispirata ai principi del garantismo e del pieno rispetto dei diritti umani, obiettivo che persegue attraverso una pluralità di strumenti. Intorno all’associazione nazionale, con sede a Roma, negli anni si sono poi sviluppate numerose sedi regionali, costituendo così una vera e propria rete diffusa su tutto il territorio. Per quanto riguarda la scelta del nome, Antigone, protagonista della tragedia di Sofocle, è simbolo di lotta e resistenza contro le leggi ingiuste. Dando sepoltura al fratello, pur contro la volontà del re di Tebe, Antigone va contro a quei principi espressi da leggi non scritte ma naturali, che accompagnano l’uomo da sempre. Nessuna legge umana poteva, secondo Antigone, contrariare questi principi.

Qual è il vostro ruolo nella difesa dei diritti dei detenuti?
L’impegno dell’associazione nella tutela dei diritti delle persone detenute avviene in diversi modi. Il primo tramite il lavoro degli Osservatori di Antigone sulle condizioni di detenzione: organismi composti da volontari dell’associazione autorizzati annualmente dal Ministero della Giustizia ad accedere in tutti gli istituti penitenziari per adulti e per minori. Il monitoraggio dei luoghi di privazione della libertà ha lo scopo di rendere più trasparente un’istituzione per sua stessa natura chiusa come il carcere. Permette da un lato di offrire maggiori garanzie a tutela dei diritti delle persone recluse e dall’altro di raccontare al mondo esterno tale realtà. All’attività di monitoraggio – più di carattere sistemico – Antigone affianca un lavoro a tutela dei singoli, tramite le attività del Difensore Civico dell’associazione, organismo incaricato di fornire informazioni legali gratuite a persone detenute e familiari. Ogni anno i volontari del Difensore Civico prendono in carico circa 500 casi. Attività analoga viene svolta da alcuni sportelli che l’associazione ha all’interno di Istituti penitenziari in giro per l’Italia. Antigone è poi coinvolta in diversi procedimenti penali che hanno per oggetto violenze, torture, abusi, maltrattamenti o decessi avvenuti in vari istituti penitenziari del Paese. La tutela dei diritti di Antigone avviene poi tramite campagne di advocacy, lavori di ricerca e una costante attività di divulgazione.

Di fronte una recrudescenza del fenomeno dei suicidi in carcere, quali pensate possano essere le cause?
Ovviamente, ogni caso di suicidio ha una storia a sé, fatta di personali sofferenze e fragilità, ma quando i numeri iniziano a diventare così alti non si può non guardarli con un’ottica di insieme. Come un indicatore di malessere di un sistema che necessita profondi cambiamenti. Oltre a fattori personali, numerosi possono essere gli elementi esterni che contribuiscono ad acuire situazioni di pregressa sofferenza, soprattutto in un ambiente complesso come quello carcerario. Per evitare solitudine, depressione e abbandono, alcune azioni sono possibili: in primis una maggiore apertura nei rapporti con l’esterno, liberalizzando ad esempio le telefonate. Poter parlare con una persona cara in ogni momento può far tanto, soprattutto per chi si trova in una situazione di profondo dolore. Bisogna inoltre aumentare l’attenzione a fasi particolarmente delicate del percorso detentivo, come il momento dell’ingresso e dell’uscita dal carcere, entrambi momenti particolarmente delicati e durante i quali avvengono numerosi casi di suicidi.

Esistono, nei penitenziari italiani, le figure di psichiatri e psicologi per la cura della salute mentale dei detenuti?
Per quanto riguarda la salute mentale in carcere, la presenza di un diffuso disagio psichico rimane una delle problematiche più spesso segnalata all’Osservatorio di Antigone. In base ai dati raccolti dai 99 istituti penitenziari visitati nel 2023, emerge una media del 12% di diagnosi psichiatriche gravi ogni 100 persone detenute presenti (ossia quasi 6.000 persone). Mentre, sempre tra i presenti, il 19,7% assumeva stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi, e il 40% sedativi o ipnotici. Numeri esorbitanti, ma del tutto in linea con quelli registrati negli scorsi anni. A fronte di questo, in media le ore settimanali di servizio degli psichiatri sono circa 10 ogni 100 persone detenute (in leggero aumento rispetto all’anno precedente quando erano 8,75), mentre quelle degli psicologi sono circa 20 ore settimanali ogni 100 persone detenute. Nella maggior parte dei casi non si riesce quindi a garantire un percorso terapeutico effettivo, ricorrendo solo a terapia farmacologica.

Sulla base dei più recenti avvenimenti (penso a quanto accaduto al Beccaria di Milano, n.d.r.) non ritenete che anche gli agenti penitenziari debbano essere presi in carico da psichiatri e psicologi all’interno del carcere?
Sicuramente lavorare all’interno degli istituti penitenziari è molto complesso. Si ha a che fare con situazioni difficili, i carichi di lavoro sono elevati e spesso si registrano situazioni di sottorganico. Questo a maggior ragione in periodi di grande sovraffollamento, come quello che stiamo registrando in questo periodo. Il supporto psicologico per il personale è fondamentale, così come una maggiore gratificazione – sia economica che sociale – di tutte le figure professionali che operano in carcere. Detto questo, i fatti del Beccaria, così come altri episodi di abusi e torture avvenuti negli ultimi anni, raccontano dinamiche di violenza diffusa e ripetuta, inflitta da un gran numero di persone, lontani dunque dalla solita retorica delle poche “mele marce”. La carenza di formazione e lo stress lavorativo, entrambi fattori sicuramente presenti e rilevanti, non possono poi essere richiamati per giustificare episodi di violenze come quelle che abbiamo visto in alcuni istituti di pena. Soprattutto nel caso del Beccaria, perché si parla di una struttura che ospita poche decine di persone, la maggior parte delle quali minorenni.

In che modo siete in grado di finanziare le vostre attività?
In un’ottica d’indipendenza, Antigone non riceve finanziamenti pubblici nazionali. Le nostre attività sono finanziate principalmente da enti e fondazioni private e da organismi internazionali, quali ad esempio la Commissione Europea e il Consiglio d’Europa. A essi si aggiungono le risorse raccolte tramite il 5x1000, le donazioni e le iscrizioni effettuate all’associazione. È importante sottolineare che Antigone conta da sempre sul prezioso impegno di un gran numero di volontari altamente qualificati. Senza di loro non sarebbe possibile svolgere tutte le attività dell’associazione, sia a livello locale che a livello nazionale.

Cosa può fare un privato cittadino per aiutarvi?
Oltre a iscriversi all’associazione e a destinarle il proprio 5x1000, un modo per sostenere Antigone è ovviamente seguire il suo lavoro, partecipando a eventi organizzati sul territorio e informandosi tramite i suoi canali di comunicazione (come le pagine social e la newsletter). Il lavoro di divulgazione è al centro delle nostre attività, con l’obiettivo di garantire un’ampia diffusione a tutto ciò che accade intorno al mondo penitenziario, troppo spesso sconosciuto agli occhi della società esterna. Questo lavoro di divulgazione avviene, poi, tramite altri canali… diciamo meno convenzionali, legati al mondo dello sport e della musica. Antigone gestisce una Polisportiva chiamata Atletico Diritti, composta da studenti, persone provenienti da percorsi penali o da un passato di migrazione. Antigone cura poi la trasmissione radiofonica musicale Jailhouse Rock, dove storie di musica e di carcere si incrociano tra loro. Lo sport e la musica sono, in questo caso, usati come strumenti di integrazione e di osmosi tra il carcere e il mondo esterno.



Barbara Giangravè
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