Il bello – se così lo possiamo definire, considerato l’argomento trattato – di questa rubrica è la possibilità di conoscere sempre nuove realtà e farlo in contesti solo apparentemente molto diversi l’uno dall’altro.
È come se stessi facendo di nuovo il giro d’Italia e mi fermassi, a ogni tappa, per ascoltare le storie di chi – pur volendo mantenere l’anonimato, almeno per la pubblicazione del suo nome e cognome sul giornale – ha tante cose da dire e altrettante cose da dare. A tutti coloro i quali avranno la bontà e (spero) il piacere di leggere questi articoli.
Il pezzo pubblicato oggi ci porta a Catania e a una sua cittadina. Non so bene come e perché abbia deciso di confidarmi i suoi problemi: forse, perché ha capito che anch’io condivido la sua stessa patologia. Ma facciamo parlare lei…
Come funziona la cosiddetta presa in carico del paziente che presenta problemi di salute mentale, a Catania?
Per quanto mi riguarda, mi sono trovata sempre nella situazione di dover andare di persona presso il Centro di Salute Mentale relativo al mio distretto.
La prima volta che ci andai era il 2007 e ho letteralmente chiesto aiuto. Gli operatori sono stati molto comprensivi e, dopo aver verificato la mia appartenenza al distretto, mi hanno fissato un appuntamento con uno psichiatra.
Tutte le visite sono state accurate e, considerando la mia diffidenza nell’assumere farmaci, il medico cui ero stata affidata mi ha spiegato l’importanza dei farmaci per arrivare a gestire la mia malattia e, inoltre, gli eventuali effetti collaterali che avrei potuto avere. Il medico mi spiegò anche l’importanza di associare alla terapia farmacologica una terapia psicologica e mi presentò una psicologa che, in seguito, mi seguì per un certo periodo. Le visite successive sono state sempre concordate con il medico, durante i nostri incontri.
Come vengono gestite, nel settore pubblico, le terapie farmacologiche prescritte dagli psichiatri e le psicoterapie gestite dagli psicologi?
Il medico psichiatra e la psicologa si interfacciarono in maniera da poter capire se la paziente presentasse dei miglioramenti oppure no, in modo da poter stabilire insieme eventuali cambiamenti sia nella cura farmacologica che nella terapia psicologica.
Nella mia esperienza devo dire di aver avuto subito (intendo, almeno quattro mesi dopo l’assunzione dei farmaci prescritti) dei miglioramenti, soprattutto nella gestione della sindrome continua da crisi d’ansia.
Invece, la mia lotta con la depressione ha richiesto un po’ più di tempo. Mi è capitato, a volte, di avere una sorta di rigetto per alcuni farmaci e, parlandone con il medico, siamo riusciti a cambiare farmaco o, in alcuni casi, a risolvere il problema semplicemente modificando la posologia. Con il medico siamo riusciti anche a ridurre o, addirittura, eliminare alcuni farmaci… ovviamente seguendo un programma molto dettagliato.
Come si presenta, a Catania, la situazione relativamente ai reparti di psichiatria negli ospedali pubblici e alle cliniche psichiatriche (convenzionate e non)?
Posso raccontare quello che so sulle Cta (Comunità Terapeutiche Assistite, n.d.r.), in particolare di una delle tante che ho conosciuto per motivi di lavoro.
Sono ovviamente convenzionate, i pazienti… anzi… gli ospiti (li chiamano così) sono seguiti da psichiatri, psicologi, tecnici della riabilitazione psichiatria, infermieri e Oss. Per alcuni di loro, in base alla patologia, è permesso uscire da soli o accompagnati dai tecnici della riabilitazione. So che a volte vengono organizzate delle gite di gruppo. Una volta a settimana mangiano in struttura la pizza e festeggiano i loro compleanni. Puoi conoscere gente eccezionale: un uomo che suona sempre la chitarra e ama Bob Dylan; un altro, pittore da più di 30 anni o ragazzi molto gentili che ti portano in giro per il giardino della Cta, riempiendoti di complimenti.
Ci sono comunque dei problemi a cui devono far fronte: in primis la gestione dei pazienti psichiatrici autori di reato, che dovrebbero essere detenuti nelle Rems (Residenze per l’esecuzione delle Misure di Sicurezza, n.d.r.) ma che, invece, da un po’ di anni soggiornano anche nelle Cta, perché le Rems sono stracolme.
Tutti gli operatori hanno dovuto sottoporsi a una formazione specifica proprio per affrontare questa problematica e potere gestire ospiti particolari, difficili e a volte violenti.
Ti va di raccontarci la tua storia?
La mia storia non è peggiore, migliore o più strana di tante altre. Ero una bambina con problemi di vista e che aveva paura dell’oscurità. Una ragazza che, vedendo sua madre impazzire, vive nel terrore di ripetere un giorno tutto quello che le ha visto fare: baciare crocifissi, vagare nel vuoto e soffrire maledettamente.
Non so se siano queste le origini della mia depressione e, forse, neanche m’interessa saperlo… ma non ho mai provato alcuna vergogna della mia malattia (richiesta di mantenere l’anonimato in questa intervista, perché destinata a valicare i confini di Catania e della Sicilia, a parte).
Con le persone che ho conosciuto e che conosco personalmente ne ho parlato e ne parlo con estrema libertà. E non m’importa di chi non capisce o non vuole capire. Io sono diversa, ma non vorrei mai essere un’altra donna.
Barbara Giangravè
(Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.)