Gruppi Appartamento: un'altra strategia per il reinserimento sociale di persone che soffrono di malattie mentali

Gruppi appartamento

Due giorni fa una persona a me molto cara mi ha detto: “Sei come un treno in corsa: non ti fermi mai, non stacchi mai”. Questa persona sa, meglio di me, che si tratta della condizione migliore in cui io possa vivere: lavorare, risolvere questioni burocratiche e pratiche, darmi da fare per gli altri, ecc.

Tra due giorni sarà ufficialmente estate e questa è una stagione molto critica per chi soffre di problemi di salute mentale. Le grandi città tendono a svuotarsi, i paesi tendono a riempirsi. Anche se non sempre le cose si svolgono in maniera così netta.

Dopo avere lasciato la mia città per un paese, questa sarà la terza estate di fila che trascorrerò lavorando. Ma va bene così. Mi confronto con realtà professionali sempre diverse e, di conseguenza, anche con persone sempre diverse.

L'ultima con cui mi sono confrontata – proprio ieri – per la scelta dell'argomento di questa settimana, mi ha fatto tornare alla mente un altro degli articoli già pubblicati in questa rubrica (): l'intervista alla figlia di un'infermiera triestina che lavorò con Franco Basaglia e che, per prima, mi ha raccontato dell'istituzione di “gruppi famiglia”, delle case – cioè – al cui interno vivevano i pazienti degli ormai chiusi manicomi. Sebbene fossero, almeno all'inizio, costantemente monitorati da dei volontari.

Ai giorni nostri, esistono ancora delle esperienze analoghe: sono i gruppi appartamento. Un gruppo appartamento altro non è che una casa, la cui funzione è quella di curare e riabilitare persone seguite dal Centro di Salute Mentale del luogo in cui risiedono. Negli appartamenti in questione, vivono persone che hanno un disagio psicologico e/o psichico.

Un gruppo appartamento ha a disposizione fino a cinque posti letto, ma è possibile creare nuclei composti da due gruppi, che ospitano fino a dieci persone. Chi vive in un gruppo appartamento è seguito da operatori che lo aiutano in tutte le difficoltà che s'incontrano nella vita quotidiana.

Il numero delle ore di presenza dell'operatore è variabile ed è diverso in ogni gruppo: viene infatti regolato sulla base delle necessità che hanno le persone che lo compongono. Ci sono gruppi in cui l'operatore effettua solo dei passaggi una o due volte la settimana, così come ci sono gruppi in cui l'operatore è presente per alcune ore ogni giorno o gruppi in cui l'operatore deve essere sempre presente.

Il gruppo appartamento è pensato per essere una struttura residenziale che agevoli la risocializzazione di persone che hanno raggiunto un buon equilibrio psichico. Un gruppo possiede, infatti, tutte le caratteristiche di una casa vera e propria, anche se chi vi abita non è propriamente una “famiglia” nel senso più convenzionale del termine.

Si dice che “gli amici sono la famiglia che scegliamo” ma, in questo caso, le convivenze sono decise da chi segue gli abitanti di un gruppo appartamento. Ciò non toglie, ovviamente, che durante la convivenza tra persone diverse – per quanto con problemi di salute mentale simili – si creino legami che, spesso, sono più forti e intensi di quelli di sangue.

Eccoci, però, giunti alle solite dolenti note. In Italia, purtroppo, non esiste una normativa vigente a livello nazionale. Le Regioni si sono, dunque, attrezzate autonomamente. Ma, come abbiamo più volte denunciato attraverso questa rubrica, non è possibile affrontare un problema così gravoso, come quello della salute mentale, muovendosi a macchia di leopardo tra regioni – più o meno virtuose – che mettono in campo tutte le strategie possibili per aiutare sia i malati che le loro famiglie e i loro amici.

Non è sempre vero, infatti, che “chi fa da sé, fa per tre”. E di queste realtà non esiste neanche un database unico che raccolga, regione per regione, le strutture esistenti.

Non a caso, ripensando all'intervista che ho citato all'inizio di questo articolo, mi è tornata in mente una frase ben precisa della donna intervistata: “…la libertà che Basaglia sognava si era trasformata in abbandono”.

Io sono una vegetariana convinta e un'animalista “agguerrita”. Se biasimo il comportamento di chi abbandona un ANIMAle (no, non è un errore di battitura: io scrivo questa parola volutamente così), specialmente se deve partire per le vacanze, non trovo alcuna differenza con chi abbandona un parente o un amico con problemi di salute mentale.

So bene che non è per niente facile vivere accanto a persone come noi e che, a volte, è necessario un periodo di separazione. Ma non esiste malattia – né fisica né mentale – che non abbia bisogno del supporto, della vicinanza e, soprattutto, dell'amore di chi fa parte della nostra vita. Anche perché, spesso, le scelte più dolorose vengono prese proprio quando ci si sente e ci si ritrova da soli.



Barbara Giangravè
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