La Psichiatria e le sue 'droghe' legali

 

La Psichiatria e le sue “droghe” legali

Avete presente quella geniale trilogia cinematografia, tutta italiana, di “Smetto quando voglio”? A chi non avesse ancora visto i tre film in questione, consiglio vivamente una maratona davanti allo schermo della televisione.

Chi, invece, conosce già la storia dei ricercatori italiani precari che hanno dato una svolta alle loro vite creando una nuova droga e sfruttando una molecola non ancora catalogata come stupefacente dal Ministero della Salute, consiglio la lettura di questo articolo.

La mia è una provocazione, ma non fine a se stessa. Dato che siamo negli anni post Covid, immagino sappiate ormai tutti cosa sia l’Aifa. L’acronimo, che indica l’Agenzia Italiana del Farmaco, è quello di un Ente di Diritto Pubblico, diretto dal Ministero della Salute e dal Ministero dell’Economia, che – tra le altre cose – si occupa di redigere e aggiornare il prontuario farmaceutico nazionale.

All’interno di questo prontuario si trova, tra gli altri farmaci, la Promazina EG.

Il suo principio attivo è la promazina cloridrato, che appartiene a un gruppo di medicinali chiamati fenotiazine. La promazina è indicata per il trattamento di stati di agitazione psicomotoria o del comportamento aggressivo. Il medicinale viene utilizzato, inoltre, per il trattamento della schizofrenia e di altri disturbi mentali.

In ogni confezione di qualsiasi farmaco, troverete sempre il classico foglietto illustrativo – detto anche bugiardino… chissà perché… – su cui viene descritto il farmaco in questione e anche i suoi effetti collaterali.

Nel caso della Promazina, è scritto che – cito testualmente – "Nei pazienti anziani con demenza è stato riportato un lieve aumento del numero di morti tra i pazienti che prendevano antipsicotici rispetto a quelli che non li prendevano".

Nel caso che vogliamo trattare oggi, non siamo arrivati e speriamo vivamente di non arrivare mai a questa conseguenza, però – forse perché questa rubrica comincia a essere un punto di riferimento sulla salute mentale – abbiamo ricevuto una segnalazione alquanto preoccupante.

Si tratta del caso di una donna di 55 anni, che soffre di continue crisi ossessive perché ha paura di essere abbandonata e di essere lasciata da sola. Questa donna assume la Promazina EG da qualche anno ma, evidentemente, il suo corpo si è ormai assuefatto alla sostanza.

Alla fine della settimana scorsa, la paziente è stata ricoverata in una micro-comunità della Valle d’Aosta – proprio così, cari lettori, una struttura della vostra regione – e, grazie a un’infermiera, un parente della donna ha capito che la Promazina non fa più il suo effetto, ma produce solo effetti collaterali. I sanitari della micro-comunità hanno, quindi, prescritto alla signora altri due farmaci, che hanno il compito di sedarla. I farmaci in questione sono stati acquistati dal parente della donna che, per la modica cifra di 50 euro, ha fornito autonomamente al personale della struttura ciò di cui il Servizio Sanitario Nazionale non copre i costi.

A questo punto della storia, i miei dubbi, le mie domande, le mie perplessità sono sempre le stesse: perché possono trascorrere degli anni prima di riuscire a trovare la cura farmacologica più giusta per ogni paziente? Perché non è difficile che l’ammalato passi dal beneficio indotto dal farmaco alla sua assuefazione? E perché, infine, ci sono farmaci prescritti a chi ha, suo malgrado, una malattia mentale i cui costi non vengono coperti dal Sistema Sanitario Nazionale?

Chi non ha 50 euro a disposizione nella sua tasca, cosa fa?

 

Barbara Giangravè
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