In “Disamistade”, Fabrizio De André cantava il verso che dà il titolo a questo pezzo: “Il dolore degli altri è dolore a metà”. Ed è vero. Almeno per quanto mi riguarda.
Una volta, uno dei miei direttori mi rimproverò perché “non si scrive mai di qualcosa che ci riguarda personalmente”. E questo, nel giornalismo, deve essere considerato come uno dei dieci comandamenti… di cattolica formazione.
Angelo, questo era il nome dell’allora mio direttore, è morto lo scorso settembre. Un paio di settimane dopo la pubblicazione del mio secondo libro. Volume che parla della malattia mentale e anche il motivo per cui mi è stata affidata questa rubrica.
In vista di ogni mercoledì, scelgo un argomento e lo approfondisco, intervisto qualcuno degli “addetti ai lavori” o – perché no? – do la parola ai protagonisti delle storie che hanno a che fare con la malattia mentale.
Una sola volta, da febbraio a oggi, non ho tenuto fede all’insegnamento di Angelo: quando ho spiegato a voi, cari lettori, chi sono e perché mi leggete su questo sito.
Per quanto riguarda il pezzo di oggi, voglio essere sincera con voi. Così come lo sono sempre stata. La tentazione di telefonare al direttore editoriale, Marco Camilli, e di dirgli che non gli avrei potuto mandare alcun articolo per questa settimana è stata fortissima.
Fortissima come fortissima è la crisi che sto attraversando. Di nuovo. E per varie ragioni. L’ennesima rovente estate siciliana non aiuta, di certo, a migliorare le cose… ma mi rendo conto che, tra la mia regione da un lato e la vostra regione dall’altro lato, nessuno di noi è messo bene da un punto di vista metereologico.
Diverso è l’aspetto psicologico/psichico. Perché tutto il lavoro che ho fatto su me stessa, negli ultimi dieci anni, magari mi consente d’individuare l’origine del mio malessere… ma non come superarla.
E le frasi fatte sulla “buona volontà”, ecc., ecc. lasciano il tempo che trovano con me. Anzi, sono proprio deleterie.
Quindi, giù la maschera. E, se questa sorta di “esperimento” vi piacerà, potrete riprodurlo anche voi.
Siete pronti? Bene! Comincio io…
Sono in crisi perché:
ho problemi economici nonostante lavori,
ho problemi con la mia famiglia d’origine che, non solo non diminuiscono con il passare del tempo, ma anzi aumentano…
ho problemi con me stessa e il rapporto con il tempo: lo trascorrerei tutto a dormire. Ma, non solo non è possibile, non è neanche sano,
ho problemi perché non sono capace d’instaurare delle relazioni con le altre persone,
ho problemi perché, parafrasando Simone Cristicchi, “la mia patologia è che son rimasta sola”.
Potrei continuare così per ore, ma l’obiettivo dell’”esperimento” non è quello di trascorrere il tempo a lamentarsi, bensì a riconoscere quali sono gli aspetti che ci fanno male e, a differenza mia (che predico bene e razzolo male!) affrontarli!
Lo screenshot che fa da immagine a corredo di questo scritto è la domanda che mi è stata rivolta ieri da una persona che ho conosciuto per motivi di lavoro e che ho visto poche volte nella mia vita.
Ma l’empatia non è qualcosa che viene trasmessa alla nascita o che insegnano a scuola: o si ha o non si ha. Voi ce l’avete? Io non lo so, perché ho gli occhi annebbiati dalle lacrime mentre rileggo quello che ho scritto e prima di mandarlo alla redazione. Allora forse è vero che, anche per me, “Il dolore degli altri è dolore a metà”.
Barbara Giangravè
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