“Niente sesso, siamo inglesi”, (“No Sex Please, We’re British”), è un’opera teatrale di Alistair Foot e Anthony Marriott che ha calcato per la prima volta le tavole del palcoscenico nel 1971.
Una settimana fa, mercoledì 17 luglio – e 53 anni dopo la rappresentazione teatrale di cui sopra – Re Carlo III d’Inghilterra ha pronunciato l’ultimo – in ordine di tempo – discorso alla nazione. Della Gran Bretagna, dopo il referendum sulla Brexit del 2016, sappiamo che il paese anglosassone ha deciso di non fare più parte dell’Unione Europea. Salvo poi pentirsene quando era ormai troppo tardi.
Eppure, nonostante gli inglesi si sentano, forse, superiori agli altri cittadini europei, non hanno problemi così diversi dai nostri.
Su tutti, uno in particolare ha attirato la mia attenzione. Perché è un altro tabù che cade e lo fa, per di più, in uno dei paesi del mondo considerato tra i più pudichi e riservati, dopo la sovranità di Elisabetta II, che ha guidato il suo regno per ben 70 anni.
Ma andiamo ai fatti. Il National Health Service Inglese è completamente pubblico: sovvenzionato dallo Stato, si fonda sui principi della gratuità e dei bisogni delle persone. Per poterne usufruire, bisogna dimostrare di vivere in Inghilterra.
Ciò nonostante, l’ultimo discorso pubblico di Re Carlo III alla nazione ha sottolineato come il Servizio Sanitario Nazionale sia in crisi, dopo essere stato messo a dura prova dalla pandemia e dalla mancanza d’investimenti.
Il governo inglese mira a ridurre le lunghe liste di attesa per gli interventi chirurgici e le visite mediche, oltre a volere modificare il sistema, rendendo “la salute mentale importante tanto quella fisica”.
Dell’ultimo sovrano del Regno Unito, a parte il fatto che ha dovuto attendere ben 74 anni prima d’indossare la corona, sappiamo che ha un grande interesse riguardo l’ambiente e l’ecologia in generale.
Quanto al suo interesse relativo alla salute mentale, invece, quest’ultimo sembra derivare da quanto dichiarato spesso dai suoi figli: William e Harry… quando non erano ancora “separati”, geograficamente e non.
Gli eredi di Re Carlo III e Diana Spencer, infatti, hanno pubblicamente ammesso le loro difficoltà nell’elaborazione del lutto per la tragica e prematura morte della madre. Ai problemi psicologici degli allora piccoli Windsor è stata prestata la massima cura possibile in termini di salute mentale.
Il loro padre ha dato ampia dimostrazione di avere "imparato la lezione", parlando liberamente di ciò che auspica per la sanità inglese.
Un editoriale pubblicato su The Lancet – la più antica rivista settimanale scientifica in ambito medico della nazione – ha reso di pubblico dominio il perdurare della discriminazione sociale nei confronti delle persone con disturbi mentali e della demonizzazione con cui esse vengono rappresentate dai media.
Inoltre, in Inghilterra esistono strutture riabilitative private che poco o nulla hanno a che fare con la gratuità del Servizio Sanitario Nazionale.
Insomma, pare proprio che Carlo III, durante il suo ultimo discorso, abbia voluto far cadere il velo d’ipocrisia che – in Gran Bretagna come nel resto del mondo – aleggia sulla problematica cura e gestione di chi soffre di malattie mentali.
Si può essere d’accordo, oppure no, sull’esistenza di una monarchia in Europa. Si può simpatizzare, oppure no, per Re Carlo III. Una cosa è certa, però: puntare i riflettori sulla salute mentale del Paese, ben sapendo che i mezzi d’informazione di tutto il mondo avrebbero dato risalto al discorso del sovrano, ha un forte significato simbolico.
Chi non riesce ancora ad accettare determinate patologie, se ne deve fare una ragione. Parafrasando il titolo dell’opera teatrale menzionata all’inizio, “Niente ipocrisia, siamo tutti In(Sani) di Mente”.
Barbara Giangravè
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