Come reagire al dolore psicologico?

Vi ricordate il film “Mrs Doubtfire”, che aveva come protagonista il compianto Robin Williams? Vi ricordate una delle scene, in cui la bambina che recita il ruolo della figlia più piccola di Williams, gli chiede: “Ma non basta che chiedi scusa alla mamma?”.

I bambini sono così: autentici, puri, senza sovrastrutture mentali e pensano alle soluzioni che gli adulti non considerano neanche… perché il loro mondo è molto più complicato. E infelice.

In tema di ricordi, io stessa mi sono interrogata proprio in questi giorni sull'argomento e ne è venuta fuori questa riflessione: “Mi hanno detto che non avremmo ricordi, se non servissero a qualcosa. Ho chiesto a cosa. Mi è stato risposto a ricordare i momenti felici. Ho domandato se fa male. Mi è stato detto che fa sperare di tornare a essere felici e, se la speranza manca, tocca a noi cercarla e trovarla. Mi hanno detto che la felicità sta nelle piccole cose. Vorrei essere capace di cercare e trovare tante piccole cose che rendano felice me e le persone a cui voglio bene. Quando ho avuto bisogno di aiuto, quando ho avuto paura, quando sono stata costretta a guardare in faccia la realtà… ho allungato una mano e qualcuno l'ha afferrata: mi ha stretto dentro la sua mano… o dentro la sua zampa. Qualcun altro mi ha schivata. Ferendomi a morte. Ma so che la paura degli altri fa paura a molti. So che attraversare il dolore non è da tutti. So che il male non si trasforma sempre in bene. Se potessi, distruggerei paure, dolori e mali degli altri. Anche se non ci riesco con i miei. Ma la mia vita, senza incrociare le vite degli altri, non ha valore”.

Ed eccoci giunti al tema dell'articolo di oggi di questa rubrica: “Come reagire al dolore psicologico?”. Persino Robin Williams, l'attore statunitense citato all'inizio, non ha retto a questo tipo di dolore ed è morto, suicida, dieci anni fa.

Leggenda vuole che gli attori comici, come Williams, siano persone tristi e inclini alla depressione nella vita di tutti i giorni. Che sia vero oppure no, non lo so. Ma ho deciso di affrontare la questione relativa alla reazione perché io stessa, durante questa calda e infernale estate, mi devo misurare ogni giorno con la reazione al dolore psicologico.

Non c'è una ricetta valida per tutti allo stesso modo, ovviamente. C'è chi ha bisogno di circondarsi di persone per non pensare. Soprattutto se il problema si presenta durante le ferie estive. C'è chi si chiude in se stesso e non tira fuori niente di ciò che ha dentro. C'è chi – come me – ha imparato la lezione impartitale da sua madre.

Qualche anno fa, quando ero io a chiudermi in me stessa e a non rispondere alle telefonate e ai messaggi, mia madre – in visita a casa mia – si accorse di questo mio comportamento e mi strigliò per bene. Mi chiese chi credessi di essere per non rispondere alle telefonate e ai messaggi di chi mi cercava. Mi disse che, alla lunga, si sarebbero stufati di “inseguirmi” e sarebbero spariti dalla mia vita. Cosa che, in effetti, è accaduta con più di una persona.

Se scrivete il titolo di questo pezzo, “Come reagire al dolore psicologico?”, su qualsiasi motore di ricerca, vi si apriranno praterie di risposte davanti agli occhi.

La verità è che non esiste una sola… verità. Nonostante io abbia imparato a chiedere aiuto, faccio ancora fatica a capire chi abbia le spalle larghe per sostenermi e chi no. Inoltre, nella fase più acuta del dolore, dimentico spesso che devo essere io a trovare la forza per rialzarmi, pur avendo accanto qualcuno di buon cuore che m'incoraggia.

E lo stesso vale al contrario. Se, cioè, sono io a vedere qualcuno in difficoltà, non è detto che gli offra spontaneamente il mio aiuto. Con chi fa parte della mia vita non ho alcun problema e sento sempre di avere la forza per sostenerlo/a. Con chi non fa parte della mia vita, invece, ho il timore di sbagliare. Perché, se si tratta di qualcuno che non conosco a fondo, non so mai quale sia la strada migliore da percorrere.

Vi lascio, amici della Valle d'Aosta, con una piccola nota di costume. Dovete sapere che – dove vivo, nel sud est della Sicilia – esistono delle persone che, pare, abbiano dei particolari poteri. Non si tratta né di maghi né di fattucchiere e non vogliono un solo centesimo per il loro intervento. Sono persone, sia uomini che donne, conosciuti nelle comunità più piccole, che hanno il “dono” di “ciarmare” il male… ossia di curarlo.

Personalmente seguo sia una terapia farmacologica che una psicologica. Eppure, al netto del mio scetticismo e del fatto che non credo in dio – mi sono sottoposta a delle sedute: prima con una donna e poi con un uomo. Loro ripetevano delle preghiere che gli sono state insegnate tanti anni fa, durante la notte di Natale, e sbadigliavano se – dentro il mio corpo – sentivano il malessere. Né la signora né il suo amico sono riusciti a curare il mio malessere. Ma io so che, per curare il mio di malessere, devo “curare” quello di chi mi sta intorno. Perché non mi concentro sul mio, mi rendo utile a un'altra persona e – parafrasando me stessa – “la mia vita, incrociando le vite degli altri, acquista valore”.

 

Barbara Giangravè
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