'Quello che tu non vedi': il cinema proietta la schizofrenia sul grande schermo

Il filosofo greco Aristotele scriveva che “L’uomo è un animale sociale”. 
Proprio a partire da questo concetto aristotelico, la socialità con un’altra persona mi ha spinta a scrivere una cosa mai scritta prima su questa rubrica: la recensione di un film.
Non di un film qualsiasi, ovviamente… ma di un film sulla salute mentale o, più precisamente, sulla malattia mentale.

Chi mi ha segnalato la pellicola (la sua visione è ancora disponibile su RaiPlay, n.d.r.), mi ha detto che la battuta del film che le è rimasta particolarmente impressa è: “Si può avere una malattia, non essere la malattia”.

Incuriosita da questa segnalazione e dalla trama del film, ho deciso di vederlo anch’io. “Quello che tu non vedi” è un film statunitense il cui titolo originale è “Words on Bathroom Walls”, cioè “Scritte sui muri del bagno”.

La storia è quella di Adam, un adolescente americano come ce ne sono tanti. Ma una cosa lo renderà d’un tratto “diverso” dagli altri. Si tratta della diagnosi di schizofrenia che Adam riceverà mentre frequenta l’ultimo anno di liceo. A causa del suo primo attacco psicotico – avvenuto proprio a scuola, durante una lezione – Adam sarà espulso dal liceo in cui studia e sarà costretto a frequentare una scuola cattolica al fine di ottenere l’agognato diploma, necessario per iscriversi a una scuola professionale di cucina. La sua più grande passione.

Ammesso nella nuova scuola, però, Adam terrà segreta la sua malattia mentale. Anche e soprattutto a una compagna di liceo della quale s’innamorerà. L’unica che non lo fa e non lo farà mai sentire diverso dagli altri.

Senza volervi anticipare nulla, perché vi consiglio caldamente la visione di questo film, accenno una breve definizione della malattia di cui soffre il protagonista del film. La schizofrenia è una psicosi cronica, i cui sintomi più comuni sono allucinazioni uditive e visive, deliri paranoidi, pensieri o discorsi sconnessi.

Pur non essendomi stata diagnosticata la stessa malattia, ho compreso a pieno le parole di Adam. In particolar modo, quando spiega la differenza tra il trattamento destinato ai malati di cancro - i cui desideri rappresentano una sorta di gara alla quale partecipano le persone che li vogliono esaudire - e il trattamento destinato a chi soffre di malattie mentali, perché considerato un peso da scaricare agli altri: persone, medici… cliniche psichiatriche.

La battuta del film che è rimasta particolarmente impressa a me, recita: “Se lasci avvicinare qualcuno, perdi i tuoi segreti. Può essere doloroso farsi trovare dagli altri nei posti bui e contorti che hai dentro, ma devi sperare che lo facciano perché è in quel momento che comincia tutto”.

A me è piaciuta questa battuta forse perché è qualcosa che ho fatto e, nonostante spesso non sia andata come avrei voluto, ci tengo che chi mi circonda sappia chi sono e, soprattutto, come sono veramente.

Per citare la mia preziosa fonte che, a sua volta, ha citato la battuta del film che è piaciuta a lei: “Si può avere una malattia, non essere la malattia”. Io ho una malattia, ma non sono la malattia. Quindi, silenzio in sala: spegnete le luci e i cellulari.
E… buona visione!!!

 

Barbara Giangravè
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Grazie alla segnalazione di Viviana Rizzo

 

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