Grazie a una nostra lettrice, siamo venuti a conoscenza dell’esistenza, a Trieste, dell’Accademia della Follia “Claudio Misculin” e ne abbiamo parlato con due delle co-fondatrici: l’attuale Presidente, Angela Pianca e la sua vice, Cinzia Quintiliani. Ne è venuta fuori un’intervista “doppia” molto interessante. Corredata dalle fotografie di Simone Di Luca, che ringraziamo per averci fatto dono dei suoi scatti.
Quando e come nasce l’Accademia della Follia?
Angela Pianca – L’Accademia della Follia “Claudio Misculin” nasce a metà degli anni ‘70 nell’Ospedale psichiatrico di San Giovanni, a Trieste. È il tempo in cui, arrivato Franco Basaglia, si lavora alla distruzione del grande Ospedale Psichiatrico con 1200 internati: un’istituzione totalitaria, violenta, carceraria e ferocemente escludente. Via via, le condizioni di vita mutano radicalmente: si aprono le porte, si abbattono i muri fisici e gerarchici, si animano infinite assemblee, nascono nuove relazioni e cresce una straordinaria esperienza di democrazia e di partecipazione. I matti cominciano a guadagnare il parco e la città e i padiglioni liberati vengono messi gratuitamente a disposizione di giovani artisti che non hanno luogo dove poter lavorare, a patto che vogliano condividere il loro progetto artistico con i matti. Di questa vicenda Claudio Misculin e l’Accademia della Follia sono stati testimoni e partecipi costruttori. Nel 1981 io, psicologa volontaria, incontro Claudio Misculin, giovane attore e regista, proveniente da una esperienza estrema. Cominciamo a lavorare insieme e fondiamo il “Laboratorio di Artigianato Teatrale”, (che poi prenderà il nome di “Velemir Teatro”) per fare teatro per davvero, con lo scopo di formare una compagnia professionale di “matti di mestiere e attori per vocazione”. Un teatro impossibile, ci dicevano. Nel 1992, con Cinzia Quintiliani, il progetto si sviluppa ulteriormente e nasce l’Accademia della Follia. Nel Laboratorio quotidiano riaffiorano le storie cancellate da anni di internamento, esploriamo le molteplici identità di ognuno, proviamo insieme a giocare di nuovo la storia che si ha a disposizione. Attraverso la maschera, impariamo a stare nella realtà e a rappresentare le possibilità dell’uomo di esistere e di produrre in sinergia con la propria diversità. Gli individui diventano protagonisti nelle riconquistate capacità di essere soggetti, nella trasformazione delle vite, nella modificazione delle culture. Allora succedono molte cose: emergono bisogni, si formulano desideri, nascono affettività, visioni di un altro modo di stare al mondo, in cui ciò che ci accomuna è fare teatro, strumento e progetto condiviso per (ri)editare la realtà. Ecco, la pratica del bene-agire-per-il-bene, come progetto politico, come motore generatore di affetti, di giustizia, di libertà e di bellezza. È chiaro che non parliamo di Teatro Terapia. Oggi c’è il bisogno di inscatolare ed etichettare ogni azione, tutto si trasforma in terapia: ippoterapia, musicoterapia, pizzaterapia, montagnaterapia. Noi, invece, parliamo di percorsi d’arte professionalizzanti aperti a tutti, senza preclusione di età, di status, di diagnosi per la realizzazione di prodotti culturali di qualità.
Perché questo nome che, da un lato evoca qualcosa di creativo ma, dall’altro, evoca anche ricordi poco piacevoli, come quelli dei manicomi in Italia?
Angela Pianca – Ti rispondo con le parole di Misculin (morto nel 2019): “L’Accademia è il luogo mentale reso da un cerchio dentro il quale perdi i connotati di provenienza. Non è importante quello che sei stato e nemmeno quello che sei nella realtà dei normaloidi. Nell’Accademia vale quello che sei dentro al cerchio. E sei per quello che fai e fai quello che puoi.” Franco Rotelli, nostro mentore e riferimento, suggeriva che la chiamassimo: “Accademia della dissoluzione della follia”, ma era troppo lungo. Dopo il grande successo al Festival dei Teatri di Santarcangelo di Romagna dello spettacolo Mattijakovskij, nel 1990, hanno cominciato a chiamarci dappertutto e così avevamo dato vita a cinque Laboratori Teatrali a Cremona, Suzzara (in provincia di Mantova, n.d.r.), Rimini, Trieste e Padova, che lavoravano con il metodo dell’Accademia della Follia. Scambiavamo pratiche, teorie, testi e attori. Si trattava di “formalizzare” un coordinamento dinamico in rete di queste esperienze. Pensiamo che non bisogna perdere la memoria e siamo convinti che l’espressione artistica sia in grado di superare gli stereotipi, lo stigma e i protocolli della realtà. Abbiamo scelto di mettere in scena tutto ciò che riguarda la follia e il rapporto con le istituzioni e la psichiatria. Raccontiamo la storia delle persone e, raccontandola, laceriamo la maschera della malattia e la follia ritorna senza difficoltà nella vita: nostra e degli attori. Saltano le certezze intorno alla malattia e alla nostra normalità e si riesce a vedere l’altro, a dare significato alle parole, alle scelte, ai comportamenti fino a ieri fuori da ogni possibile umana comprensione. Trovare un modo perché la follia ritorni a far parte della vita e non sia ridotta a malattia dalla forza della ragione e dalla violenza delle istituzioni è la ricerca che gli attori dell’Accademia hanno fatto con Claudio Misculin e che continuano a portare avanti con coraggio e vigore e un pizzico di follia. E questa è diventata la nostra cifra identitaria.
Attualmente, siete in giro con il vostro spettacolo “Quelli di Basaglia... a 180 gradi”: di che cosa parla esattamente l’opera teatrale?
Cinzia Quintiliani – Nel 2024 ricorre il centenario della nascita di Franco Basaglia, l’uomo che non solo aprì le porte dei manicomi, ma smontò pezzo a pezzo l’apparato istituzionale, praticando una critica radicale dei metodi e delle culture della psichiatria e contrastando ogni forma di esclusione sociale. La possibilità di una psichiatria senza manicomio e la costruzione di un’alternativa di cura per le persone con disturbo mentale è una scoperta scientifica di primaria importanza, che ha segnato una svolta epocale di livello internazionale. Il 13 maggio 1978 questa impresa diventa la Legge 180. Da quel momento, in Italia possiamo vivere senza manicomi. La trama ripercorre le tappe significative e i passaggi cruciali che hanno costruito questa straordinaria esperienza. Lo spettacolo ha debuttato in prima nazionale presso il Teatro Politeama Rossetti (da cui è coprodotto, n.d.r.), dal 24 al 27 ottobre 2024. Gli attori interpretano un mosaico di testimonianze autentiche, articoli, interviste, testi di Basaglia, dei basagliani e dei matti, intrecciandole con la musica, la danza e il canto. Le parole riconquistate da chi ha vissuto e vive questa esperienza narrano come lo spaesamento, la ribellione, la solitudine, l’incertezza, le speranze, la nostalgia dei possibili non consentiti abbiano contribuito a costruire il percorso per cui l’impossibile è diventato possibile. Chi meglio di una compagnia di matti di mestiere e attori per vocazione può narrare quanto è accaduto? Chi meglio di noi che, dentro alla rivoluzione basagliana, abbiamo ritrovato voce, parole, identità, dignità e diritti? È il racconto di chi prende parte, di chi prende le parti, di chi tocca la terra, bagna le rose e cambia le cose. Proprio per questo crediamo di poter raccontare LA VERA STORIA.
Da quanti attori è composta la vostra Compagnia? Chi sono, esattamente?
Angela Pianca – Attualmente la Compagnia e formata da 12 attori in scena, matti di mestiere e attori per vocazione. Tieni conto però che, dentro e fuori scena ci sono: la regista (Antonella Carlucci), il tecnico luci, il tecnico del suono, la direttrice artistica nonché coreografa (Sarah Taylor), la musicoterapeuta (Alice Gherzil), la sottoscritta in qualità di drammaturga, la responsabile dell’organizzazione e produzione (Cinzia Quintiliani), formatori e collaboratori vari, volontari del Servizio Civile, tirocinanti universitari, giovani attori. Inoltre, da sempre abbiamo cercato collaborazione con intellettuali, artisti, musicisti, danzatori, registi, autori, poeti, giornalisti, filmmaker. E ne abbiamo trovati tanti, tra i quali ricordiamo: Giuliano Scabia, Giancarlo Majorino, Claudio Bernardi, Pino Roveredo. In questi anni abbiamo lavorato con più di novecento persone, menzionate con nome e cognome nel nostro libro: “Accademia della Follia. Una storia lunga trent’anni”. Tieni conto che il nostro Laboratorio si rivolge in particolare a persone provenienti dai Centri di Salute Mentale, (progetto in co-programmazione con il Servizio di Riabilitazione e Residenze del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Sanitaria Asugi) e, in generale, a persone a rischio, ma è uno spazio propriamente teatrale aperto a tutti, in qualsiasi momento, senza filtri, senza provini. Si parte da quello che uno sa/può fare anche se è residuo, minimale e tutti, se lavorano, vanno in scena. Si comincia dalla formazione sul campo e contemporaneamente si fa anche formazione teorica. Per questi motivi, la Compagnia è anche mutevole, cresce, si espande, si allarga e si restringe. Il che comporta una notevole capacità (che abbiamo acquisito nel tempo e con la sperimentazione) di reinventare continuamente gli approcci, gli strumenti, i metodi che garantiscano la qualità dei percorsi e dei prodotti.
Che progetti avete in serbo per il futuro?
Cinzia Quintiliani – Dalle progettualità in elaborazione, il 2025 si presenta un anno bello intenso. Continueranno le repliche dello spettacolo “Quelli di Basaglia…a 180°” in 20 città, sia in Italia che in Europa. Stiamo concludendo la creazione di un sito multimediale interattivo sulla nostra storia. Abbiamo in cantiere la produzione di un video-clip sulla canzone “Oltre al muro”, che abbiamo registrato e che è presente in tutte le piattaforme musicali in rete. Parteciperemo a due residenze artistiche in Toscana e in Lombardia. Stiamo organizzando un evento con Laboratori d’arte e spettacoli; continuiamo a promuovere e a presentare il nostro libro – “Accademia della Follia. Una storia lunga trent’anni”, a cura di Angela Pianca e Franco Rotelli (Negretto Editore, Mantova 2022) – e il film documentario di Erika Rossi sull’Accademia: “Noi siamo gli errori che permettono la nostra intelligenza”. Cominceremo a studiare una nuova produzione teatrale. Siamo molto soddisfatti di come stanno andando le cose e di come è andato l’anno in corso. Oltre alla produzione dello spettacolo, infatti, siamo stati molto impegnati con le repliche: 15 volte in Italia e 5 volte in Colombia dove, recitato in lingua spagnola dai nostri attori, ha partecipato al progetto di cooperazione allo sviluppo “La Libertà è Terapeutica”, da noi promosso insieme alla Regione Friuli Venezia Giulia e all’Università Pontificia Javeriana di Bogotà.
Pensate che l’arte, in ogni sua forma, possa aiutare chi soffre di disturbi psichici? E se sì, in che modo?
Angela Pianca – Certo, pensiamo che l’arte, intesa come straordinaria avventura di conoscenza e mutamento, come impresa collettiva di ricerca di bellezza, possa aiutare chi soffre, ma così come può aiutare qualsiasi altra persona che voglia mettersi in gioco, esprimersi e comunicare. Abbiamo scelto di operare ai confini: geografici, culturali, linguistici, etnici, di generazione, di centralità e marginalità, di rischio personale, di gruppo, di età, di status per affermare che la follia sta dentro alla normalità, le appartiene, non ne è affatto la negazione. Attraverso il concreto allestimento di ambiti e prodotti artistici in cui TECNICA + FOLLIA = ARTE, elaboriamo una linea estetica, poetica e culturale delle differenze, finalmente non più disgiunta dal sociale, per la trasformazione della vita, delle vite e della cultura.
Barbara Giangravè
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(Foto: Simone Di Luca)