Non è facile, a prima vista, valutare e condannare la violenza familiare quando, nelle separazioni, sovente l’accusa non corrisponde alla verità e diviene uno strumento, un subdolo strumento, che, sull’onda dell’emozione collettiva e sociale, coniugi e genitori sfruttano per sopraffare la controparte. Per loro, la verità non vincola il comportamento di ciascuno di noi, ma è una vuota parola da invocare per avvalorare le loro menzogne.
Solo la pronuncia, magica, di questa parola evoca, soprattutto negli sprovveduti, una solidarietà sul nulla, poiché nulla è la veridicità della maggior parte delle denunce di violenza all’interno della famiglia, spesso non verificate, ma foriere di provvedimenti che limitano la libertà dell’accusato e gettano pubblico discredito sul malcapitato (talvolta accusato perfino di violenza sessuale sui propri figli), privandolo della dignità umana, della presenza dei figli e, quasi sempre, provocando in lui uno squilibrio psico-sociale ed economico nella generale indifferenza.
Accade spesso che i magistrati e, su loro delega, le forze di Polizia, sentendo la parola violenza, non ritengono opportuno approfondire la circostanza e la veridicità dei fatti denunciati, soprattutto se accompagnati da certificati di medici che, senza dubbi soprattutto quando si parla di violenza sulla donna, ratificano in modo generico ed ambiguo.
La ricerca della verità non è facile, ma ciò non autorizza l’autorità giudiziaria a condannare l’innocente e, con lui, anche i minori, vittime degli intrighi materni e parentali. La condanna per una inesistente violenza è la negazione del diritto e il trionfo di una giustizia ingiusta, come denunciava con un cartello di protesta di un padre, Antonio Sonatore, che, oppresso dalla ingiustizia e dall’indifferenza della gente, il giorno di Pasqua del 1996, si diede fuoco dinnanzi al tribunale di Aosta. Così, la sua presenza di padre, a cui gli erano stati tolti tutti i diritti genitoriali, non avrebbe più disturbato i benpensanti di Aosta, tutti corresponsabili di questo gesto estremo.
La veridicità dei fatti, nelle sentenze di separazione e di affido, possono essere ignorati per solidarietà di genere, per negligenza nell’indagare e nel decidere, per strategie convergenti nel nascondere la vera natura di certe azioni, messe in atto da cittadini senza scrupoli, per retaggi culturali anacronistici, per influssi religiosi, ma anche per pregiudizio e per pigrizia.
I fatti ci raccontano, purtroppo, che un genitore non più convivente con la madre dei propri figli si ritrova, troppo spesso anche a sua insaputa, ad essere accusato e condannato per atti di violenza in famiglia e, così, senza alcuna garanzia costituzionale, viene allontanato dalla casa in cui sono collocati i minori, che può vedere solo in modalità protetta e, di fatto, non ha più rapporti significativi con loro, poiché in concreto li vede solo raramente. Il padre, a questo punto, esiste solo per pagare il loro mantenimento, stabilito senza tener conto che anche il genitore collocatario ha il dovere di contribuire, in termini economici, al loro mantenimento, così come recita l’art. 30 della Costituzione. Non si tiene conto nemmeno del fatto che il diritto alla bigenitorialità e alla cogenitorialità sono inalienabili e a stabilirlo non possono essere i magistrati (che dovrebbero applicare la legge), i servizi sociali, i ben retribuiti centri antiviolenza, con le relative lobby che l’affiancano e che anche il padre (poiché ancora si continua a collocare i figli presso la madre nel 94% dei casi di affido) ha il diritto ad una vita dignitosa e a fare il padre. E’ urgente che qualcuno lo ricordi ai magistrati, alle forze dell’ordine, ai servizi sociali e a quegli psicologi tuttologi che ignorano la realtà che li circonda.
Succede spesso che proprio quel genitore perseguitato con false accuse, dopo anni, viene riconosciuto innocente grazie a quei magistrati che, nelle denunce, vogliono vederci chiaro e che, poi, affidano proprio a loro i figli, ancora minorenni, così come prevede la legge.
Questi magistrati non rappresentano una vittoria della Giustizia, ma una clamorosa sconfitta. In questi casi si dovrebbe andare a ricercare giudici, forze dell’ordine, assistenti sociali e psicologi, con lo stuolo di pseudo professionisti che li circondano, e chiamarli a risarcire personalmente il danno provocato ai minori e al genitore perseguitato per anni. Resta pacifico che vengano subito rimossi dal posto indegnamente occupato con la perdita del posto di lavoro.
Tutto ciò lo dovrebbe stabilire in modo inequivocabile il Parlamento, ma, purtroppo, i politici non vogliono scomodare coloro che garantiscono loro il consenso elettorale.
I maltrattamenti fisici, quelli seri, vanno perseguiti e restano inaccettabili, anche se, in certi casi, le cause che li hanno provocati non li giustificano, ma li rendono più comprensibili.
Nelle separazioni, le denunce di maltrattamenti, spesso, sono generiche e non è ben chiaro il limite tra quelli verbali e quelli fisici e nemmeno è evidente la gravità dei singoli gesti. La discussione e le divergenze di opinione fanno parte della vita familiare purché le parole non debordino dalla liceità e provochino reazioni fisiche, anche se non sempre gravi. Come recita un detto popolare, l’amore non è bello se non litigarello, cioè, i contrasti rendono più intrigante il rapporto affettivo tra due persone. La diversità di opinione, però, è bene ricordar che non può travalicare certi limiti e non può degenerare in violenza fisica.
Fatta questa doverosa distinzione, c’è da rimarcare che, quando le divergenze tra i due genitori diventano spunto per soddisfare la vendetta di uno contro l’altro, non si può evocare il sentimento affettivo del passato ed occorre tutelare i figli, vittime involontarie dei contrasti genitoriali, ed occorre fare un’accurata indagine sulla portata della denuncia di violenza familiare, predisponendo i conseguenziali giusti provvedimenti. Si deve tener presente che la verità va documentata nelle sedi competenti e che non è affatto vero che la verità stia sempre e solo da una parte e che anche l’uomo può essere – e lo è, spesso – vittima della violenza di genere, a tutti nota, ma da pochissimi presa in considerazione.
Strumentalizzare la pseudo-violenza sulle donne – esistente, è vero, ma esiste, e tanto, anche quella delle donne sugli uomini – con fini prettamente vendicativi ed economici per distruggere l’ex partner vuol dire rinnegare la dignità della persona. Abusare della non verità per colpire l’altro, genitore dei propri figli, è una vigliaccheria che non può trovare spazio nel superiore interesse del minore. Ma, per farlo, occorre che le strutture a difesa del cittadino funzionino seriamente e fino in fondo, anche quando è la donna da condannare.
Cosa, questa, non gradita a troppe persone e coperta da tanta superficialità, presunzione, incompetenza, da falso buonismo e da perniciosa ideologia. Così non si fa un buon servizio nemmeno alla donna, per colpa degli iniqui comportamenti di altre donne. L’omertà e l’incompetenza sono le colonne portanti di quella giustizia ingiusta nelle separazioni, che nega, palesemente, il presupposto che La Legge è uguale per tutti.
I falsi maltrattamenti, frequentemente denunciati per veri nelle separazioni e nell’affido dei figli minori da parte del genitore collocatario, suscitano la ferma condanna sociale non di chi è stato ingiustamente accusato ma di chi indebitamente continua ad essere chiamato genitore per le ragioni sopra esposte. Graditi i vostri pareri, anche di dissenso.
Ubaldo Valentini, presidente dell’Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori (aps) -
Contatti: tel. 347.6504095,