Si fa un gran parlare della mancata autonomia di una certa magistratura che, invece di decidere con il codice in mano, fanno spudoratamente politica nell’amministrazione della giustizia. Lo fanno quotidianamente, quando la loro discrezionalità si trasforma in una sfacciata discriminazione verso i minori e verso il loro padre, poiché tengono presenti solo gli interessi di una parte privilegiata di cittadini e snobbano i diritti genitoriali, negati sempre ad un solo genitore.
L’affaire politica nell’amministrazione della giustizia, pertanto, riguarda – e molto – non solo i grandi temi sociali, ma anche le separazioni e gli affidi, numerosissimi, dove non conta tanto il diritto sancito dalla Costituzione e dal Parlamento, quanto le radicate convinzioni ideologiche di tanti giudici che discriminano con troppa facilità il padre. Il problema è vecchio e da circa tre decenni denunciamo la giustizia ingiusta dei giudici che interpretano la legge a favore della madre e considerano il padre solo un bancomat, di fatto, senza alcun diritto sulla sua paternità e senza tutelare la bigenitorialità e la cogenitorialità, come la legge prevede e come la giurisprudenza continuamente ci ricorda, ma invano.
Quando le richieste motivate di un genitore che richiede pari dignità genitoriale vengono disattese (arrivando anche alla beffa di rigettare le sue istanze, condannandolo al pagamento delle spese legali della controparte), senza l’apertura di un vero e proprio procedimento sulle sue denunce e sulle dichiarate ingiustizie subite da lui e dai suoi figli, non si applica la legge ma si interpretano preventivamente i fatti in funzione di un solo soggetto e, così, si diviene promotori di una giustizia ingiusta. Aosta ne è un significativo esempio e, per dimostrare la fondatezza delle nostre asserzioni, ci atteniamo ad alcuni dei tanti fatti denunciati e dai tanti abusi subiti da impotenti genitori estromessi dalla vita dei loro figli. Premettiamo che non tutti i giudici del piccolo tribunale valdostano (molti dei quali inamovibili nonostante le denunce dei cittadini) si sono comportati come politici piuttosto che come magistrati e ci sono stati esempi di presidenti attenti nell’affido dei minori e di giudici molto competenti nel valutare i singoli casi e, con coraggio, hanno formulato provvedimenti correttivi per far sì che la giustizia ritornasse ad essere giusta. Purtroppo questi operatori della giustizia familiare sono stati destinati (o, probabilmente, lo hanno chiesto loro stessi, forse per intollerabili pressioni) ad altri settori ed anche lì hanno evidenziato la loro professionalità nell’applicare il diritto, caso per caso.
Ad Aosta il padre che non pagava le spese straordinarie perché controparte non aveva richiesto il suo consenso, come sancito dalla sentenza di separazione, è stato condannato in modo assurdo, perché le sentenze dei colleghi di pari grado e dello stesso tribunale le deve rispettare anche il giudice che gestisce il recupero forzoso chiesto dalla madre, ma non possono essere modificate a discrezione del giudice-collega, perché la madre, anche se non chiede il consenso, non ha il diritto automatico a pretendere il 50% delle spese straordinarie, perché (basandosi su una sentenza della Cassazione che si riferiva ad un padre economicamente irreperibile, mentre quello valdostano era stato sempre presente) genericamente si riferiscono al bene dei figli. La Corte d’appello ha convalidato l’assurda sentenza. Questa non è giustizia ingiusta?
Un bambino, con difficoltà esistenziali, è seguito dal padre e dai nonni paterni perché la madre, pur lavorando da sempre a part-time per sua scelta, non ha tempo da dedicare al figlio, dovendo fare la collaboratrice e badante del nuovo compagno, con il quale ha una relazione da anni, pur continuando a stare a casa del padre di suo figlio, trascorre alcuni fine settimana fuori di Aosta e la sera rientra a casa a tarda notte, quando il bambino dorme e il mattino, poi, va al lavoro, senza minimamente preoccuparsi di lui.
Il padre, non tollerando più l’assurda situazione, chiede l’affido esclusivo del minore, motivandone le innumerevoli ragioni, ma il giudice assegna la casa familiare, di esclusiva proprietà del padre, al figlio, imponendo ai genitori di alternarsi ogni settimana nell’abitazione, senza minimamente preoccuparsi, come richiesto dal padre, della gestione delle utenze e dell’uso che la madre faceva dell’abitazione per ospitare amiche e convivente e per lavare e stirare gli indumenti dell’altro figlio, che abitava da solo, e del compagno, compresi quelli del lavoro. Luce e detersivi, ovviamente, sono a carico esclusivo del padre.
La beffa, poi, sta nell’obbligare il padre, oltre a sostenere da solo i costi delle utenze, pur in presenza di affido paritetico, e pagare il mutuo sulla casa, a versare mensilmente un assegno di mantenimento alla madre per il figlio, che sta con lei solo al 50%, di oltre €. 250 al mese, senza tener presente, come la legge vuole, del tempo di permanenza del figlio con la madre, la proprietà della casa e il muto che il padre paga per l’acquisto, antecedente alla convivenza, le spese condominiali e delle utenze, anche quelle di pertinenza della madre e, soprattutto, il rifiuto della signora ad accettare il contatto a tempo pieno e la sua totale assenza dalla vita del figlio, problematico.
La Corte d’appello di Torino, ancora una volta, ha convalidato l’assurda sentenza del tribunale d’Aosta. Tutto ciò, però, non ci meraviglia, viste le continue condanne, anche economiche, all’Italia da parte della Corte Edu, che, poi, paghiamo noi cittadini, mentre i giudici responsabili continuano a fare carriera.
Questa non è giustizia ingiusta?
Cosa dire, poi, nei tempi biblici dei procedimenti attivati dal padre e le fulminee sentenze se la denunciante è la madre, riguardanti sempre il rispetto del diritto di visita e la revisione dell’assegno di mantenimento. Le udienze vengono rinviate alle calende greche e, così, il padre deve continuare a non vedere i figli e a continuare a pagare l’assegno di mantenimento a figli furbetti, che, assieme alla madre, a ventisette anni pretendono di essere ancora mantenuti o di essere sostenuti negli studi universitari, la cui iscrizione è avvenuta dopo tre anni e mezzo dal conseguimento del diploma. Ma stiamo scherzando? La legge va applicata, ma non ignorata per agevolare la madre e figlie vagabonde, che, a ventisette e venticinque anni, ancora, navigano nel dolce far niente e il padre paga, pur avendo la madre, sposata con un altro, uno stipendio identico a quello del padre.
Questa non è giustizia ingiusta?
Per rendere edotti i cittadini su cosa accade al piccolo, piccolissimo, tribunale di Aosta, salito agli onori della cronaca nazionale per essersi opposto al decreto del governo che non permetteva anche ai giudici di fare il ciclocross in montagna, come era loro consuetudine, occorre incominciare a denunciare pubblicamente il loro operato quando non in linea con il diritto minorile e familiare. L’importante, per molti magistrati valdostani, non è applicare la legge, ma non dispiacere ai servizi sociali e alle potenti lobby che fanno capo ai centri antiviolenza. Ovviamente salvaguardando il privilegio di essere inamovibili da Aosta, anche dopo trent’anni e nonostante le denunce dei cittadini.
Questa non è giustizia ingiusta o malagestione della giustizia o politica anti-legge per favorire le solite opposizioni?
Ubaldo Valentini, pres. Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori (aps),
www.genitoriseparati. it - contatti: tl. 347.650 4095 o Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.