Regione: soldi a gogò, ma solo alle madri!

Incontrollato è il flusso dei vari contributi che la Regione, tramite i suoi solerti e onnipotenti servizi sociali, elargisce alle madri separate, non più conviventi con il padre dei loro figli, senza il dovuto controllo per verificare se la stessa persona usufruisca di contributi finanziari, agevolazioni fiscali e, talvolta, pure dell’edilizia residenziale pubblica, oltre ai contributi di enti privati, come la Caritas. Si crea un vero e proprio mercato dell’assistenza che finisce per aiutare, troppo spesso, le persone non bisognose, che usufruiscono del saporito assegno di mantenimento del genitore non collocatario, dell’assegno unico, dei vari benefici pubblici per la madre e per i figli presso di lei collocati prevalentemente e dello stipendio per il lavoro che, spesso, svolgono (anche o solo) a nero.

Le denunce del genitore obbligato a versare alla madre dei suoi figli l’assegno di mantenimento non vengono quasi mai prese in considerazione e nessuno si preoccupa di predisporre i dovuti controlli affinchè l’assistenza economica venga data a chi ne ha veramente diritto. Qualche genitore arriva ad accumulare, a vario titolo, anche decine di migliaia di euro all’anno, giocando sul fatto che decine e decine di persone che operano nel settore del sociale dispensano contributi ed agevolazioni, quali il patrocinio a spese dello Stato, oppure concedono le c.d. case popolari a canoni del tutto irrisori, senza conoscere se la stessa persona o gli stessi minori beneficiano di altri contributi e agevolazioni o dell’edilizia popolare. I redditi della madre non dicono il vero, perché vengono sottratti al fisco gli innumerevoli introiti non dichiarati oppure le dichiarazioni fatte per accedere ai contributi e ai benefici non riportano tutte le somme effettivamente percepite dal genitore richiedente per le strategie evasive messe in atto per poter accedere ai finanziamenti pubblici e per poter pretendere, per i figli, un mantenimento più elevato da parte dell’altro genitore.

Il padre, come accade spesso negli enti locali con politiche fortemente clientelari, non ha il diritto di sapere a quanto ammontano i contributi e i benefici percepiti dal genitore collocatario, perché non è più convivente con l’altro. Se avanza la richiesta all’ente pubblico erogatore, gli viene risposto che esiste la privacy e, di conseguenza, non può avere informazioni sui contributi pubblici di cui beneficiano i propri figli. Siamo all’assurdo che, per la regione valdostana e per gli altri enti locali, si invoca la privacy per non far sapere al padre le poche chiare operazioni dell’erogatore, ignorando – e questo è veramente scandaloso – che non esiste la privacy tra padri e figli (quando esiste, poi, il diritto di difesa, esercitato utilizzando questi dati, è gerarchicamente superiore a quello della riservatezza).

Ignoranza del dipendente pubblico che amministra i soldi pubblici o strategico pretesto per nascondere vere e proprie malefatte, che potrebbero emergere se l’ente locale predisponesse i controlli dovuti? Si sa, il clientelismo non può essere facilmente smascherato e la privacy dà una mano sia ai politici che ai fedeli operatori sociali.

Il padre, che, sovente, è ridotto alla miseria, non può avere accesso agli uffici regionali e tanto meno può pretendere il dovuto adeguamento dell’assegno di mantenimento alle reali esigenze dei figli. Come per l‘assegno unico, anche i contributi e benefici per i figli dovrebbero essere ripartiti al 50% tra i due genitori o detratti dall’assegno che il genitore non collocatario versa all’altro. Giustizia vorrebbe che gli assistenti sociali, sempre ben informati sulle attività a nero del genitore collocatario, informassero il giudice di tutte le risorse, anche quelle non dichiarate, di cui beneficia la madre collocataria.

L’assistente sociale assegna contributi a chi chiede aiuto, ma non ha la possibilità di smascherare le madri furbette, poiché, tra le numerose persone (circa 80?) che elargiscono contributi e benefici per conto della regione e degli enti locali, non c’è comunicazione e, di conseguenza, ognuno opera al buio. Da dodici anni chiediamo un Registro unico dei contributi pubblici per evitare che alcuni genitori possano sfruttare il silenzio istituzionale per collezionare vari contributi e benefici, rigorosamente all’insaputa dell’altro genitore, obbligato a versare un pesante assegno di mantenimento per i figli. Nelle precedenti legislature e nell’attuale, l’assemblea regionale ha respinto con una sospettosa fretta la richiesta del Registro unico regionale dei contributi, avanzata da alcuni consiglieri regionali della minoranza, perché, a dire dell’assessore alle politiche sociali, non c’è necessità di un siffatto registro, che, al contrario, garantirebbe trasparenza ed equità genitoriale e tutelerebbe dall’ambigua discrezionalità dell’operatore dei servizi sociali.

I contributi e i benefici, ottenuti perché genitore collocatario dei figli, devono essere immediatamente comunicati all’altro genitore e, ancora più giusto, sarebbe quello di ripartirli al 50% ad ambedue i genitori non più conviventi. Così facendo, si gettano le basi contro lo sperpero del danaro pubblico e, al tempo stesso, si affermerebbe il principio costituzionale del dovere, per ambedue i genitori, di mantenere i figli. I giudici dovrebbero rispettare l’art. 30 della Costituzione ed imporre l’assegno di mantenimento per i figli anche al genitore collocatario.

Tutto ciò contribuirebbe a superare la conflittualità genitoriale che il genitore collocatario, superprotetto dalle istituzioni, alimenta, perché teme un controllo serio sulle sue richieste economiche e sul diffuso lavoro non dichiarato. Il controllo sull’operato dei servizi sociali spetta all’ente da cui dipendono e il giudice dovrebbe verificare la veridicità dei dati economici riportati nella richiesta dei contributi assistenziali, nei benefici concessi, nel diritto all’edilizia popolare e nell’accesso al patrocinio a spese dello Stato.

Il lavoro a nero è estesissimo nella piccola regione, con tanto personale che si dedica all’assistenza domiciliare degli anziani e dei figli piccoli o che fa sistematicamente la Colf o è impegnata nel settore turistico, nella ristorazione e nella accoglienza alberghiera e i dati forniti dai richiedenti di contributi e benefici non sono sempre veritieri. Gli organi istituzionali per combattere l’evasione fiscale e la concentrazione di contributi e benefici nelle mani di pochi esistono e devono funzionare per prevenire l’evasione fiscale e lo sperpero del danaro pubblico, con elargizioni a gogò.

La trasparenza è un dovere per chi opera nel pubblico e non può essere solo una virtù di facciata per ingannare il cittadino.


Ubaldo Valentini, pres. Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori (aps),
www.genitoriseparati. it - contatti: tl. 347.650 4095 o Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

 

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