Un fatto è certo: in Valle ci sono 35 consiglieri regionali per circa 123.000 abitanti (cioè un consigliere ogni 3.514), mentre in Umbria se ne eleggono 20 per oltre 856.000 abitanti (cioè un consigliere ogni 42.800 residenti) e in Lombardia, invece, circa 10 milioni di abitanti eleggono 80 consiglieri, cioè uno ogni 125.000 residenti. Ogni consigliere costa alla collettività che paga le tasse oltre €. 600.000 all’anno, oltre tre milioni a mandato, senza considerare la pensione che va anche agli eredi. Questi numeri evidenziano la costosa e assurda presenza, in Valle, di tanti consiglieri regionali, non più giustificabile, soprattutto perché non garantiscono una politica reale per i cittadini (la potrebbero fare, visto il rapporto di 1 ogni 3.500 abitanti, con il consolidato metodo di porta a porta), ma si rifiutano di dare una risposta immediata alle tante urgenti problematiche che assillano la regione, ignorando completamente quelle giovanili, cioè dei figli dei separati e degli immigrati, che, da decenni, risiedono in Valle.
L’interesse di chi amministra la Regione (che, come i fatti confermano, non ama osservazioni e tantomeno sollecitazioni su specifiche emergenze sociali) è rendere sempre più potente un potere politico che tutela solo se stesso e gli amici di turno, compresi quei partiti/movimenti che dimenticano persino quali siano la loro origine e le loro finalità statutarie. I cittadini (ad alcuni dei quali, economicamente meno fortunati, si elargiscono contributi, agevolazioni e prebende per accattivarsene il favore e per contenere possibili contestazioni da parte dei cittadini) non protestano in modo inequivocabile, perché sono sotto scacco economico e, in alcuni casi, anche lavorativo. La mancata protesta non significa, però, adesione alla politica regionale.
Tutt’altro. Significa, cioè, che esiste un terrore da parte dei cittadini a denunciare le malefatte dei servizi sociali, delle istituzioni e la totale mancanza di fiducia in chi gestisce (con la personale interpretazione) ma non applica la legge e nelle forze dell’ordine, spesso appiattite sulla politica di genere. Da qui la necessità di dover andare oltre e pretendere, in ogni sede, il rispetto della giustizia giusta e l’abbattimento di una strana cupola socio-culturale, che, come fa pensare, annienta non solo il dissenso, ma anche gli stessi diritti negati, quindi la stessa democrazia.
Incomprensibili e socialmente pericolosi sono i ritardi con cui si cerca di dare risposte credibili al malessere giovanile, in parte esploso con le forme che tutti conosciamo, ma che accuratamente cercano di nasconderci, per evitare che vengano fuori le responsabilità delle istituzioni, che, pur vedendo i fatti concreti, fingono che tutto vada bene, altrimenti dovrebbero ammettere il loro fallimento. In certi ambienti, però, non esiste l’autocritica e si ricorre al facile j’accuse rivolto agli altri piuttosto che a se stessi. Questo spiega anche il silenzio di chi dovrebbe controllare e verificare se, in Valle, la legge venga rispettata dalle istituzioni pubbliche. Creare timore negli indifesi minori e nei genitori separati è assai facile, ma, a lungo andare, potrebbe essere un pericoloso boomerang.
Il malessere giovanile, le problematiche dei giovani, la loro rabbia, la violenza fisica e di genere, il loro lasciarsi distruggere dalla mancanza di valori e dall’inedia verso qualsiasi forma di impegno che, in alcuni quartieri di Aosta, emerge da anni, ma resta un fenomeno strategicamente tenuto nascosto per non disturbare le istituzioni, la politica e la società che, prima o poi, dovranno fare i conti con il malessere e le devianze giovanili, sono fatti che non possono essere ignorati, perché così vuole la cappa socio-politica, culturale ed istituzionale che tiene la vallata in un sonno sociale indotto.
La famiglia è la prima responsabile di questo disagio incontenibile dei minori, ma ciò non autorizza la società, attraverso la scuola e con iniziative mirate, predisposte da una politica a servizio dei cittadini, ma non dei soliti privilegiati, a ignorare questo evidente e già devastante disagio giovanile, che alimenta la delinquenza e la insicurezza sociale. Una cecità che potrebbe finire per giustificare le distruttive conseguenze per l’intera società valdostana. Le devianze sociali, le baby-gang sono l’evidente segno che non è più tempo di tergiversare su iniziative palliative, che non incidono sul dilagante malessere giovanile e sul venir meno di una cultura dell’impegno e della solidarietà familiare, anche dopo la fine della convivenza dei genitori. La scuola deve assumersi le proprie responsabilità nell’educare e nel formare realmente i giovani, essendo una indispensabile agenzia informativa e formativa, rimettendo in discussione non solo gli stipendi e la riduzione del personale, ma la stessa proposta educativa che, se non rispondente alle reali esigenze della società giovanile, è solo rituale, ma non sostanziale.
Il mondo religioso valdostano, la cui autorità morale può avere un indiscutibile ruolo positivo, deve aprirsi alla realtà attuale e dare risposte al malessere giovanile, con chiarezza e fermezza, denunciando l’abbandono delle istituzioni locali del dovere di dare concrete risposte alle richieste di migliaia giovani valdostani, sempre più soli ed emarginati.
Ubaldo Valentini, pres. Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori (aps),
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