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Valle d'Aosta, la seconda casa della 'ndrangheta

Rituali, malaffare, affiliazioni e riti esoterici

 

San Luca

AOSTA. Il processo Geenna, qualunque sia l'esito, è sicuramente un evento storico che non dovrà essere dimenticato. In questi tempi siamo bombardati di informazioni, notizie, immagini e non abbiamo tempo, e forse voglia, di approfondire, di capire meglio quello che sta accadendo. La notizia dev'essere corta, veloce da leggere o ascoltare, superficiale, deve veicolare un concetto, un'idea che sia facilmente digeribile da organismi sazi di notizie.

In questi giorni si parla di: " 'ndrangheta", "doti", "la locale", "capi società", "cosche", " 'ndrine", "faide", "affiliazioni o battesimi" ; "416 Bis e 416 Ter del C.P.", "concorso esterno in associazione mafiosa", "D.D.A.", "pentiti" e si fanno nomi di famiglie mafiose: "Facchineri", "Nirta", luoghi religiosi: "Polsi", santi: "San Michele Arcangelo"; "Madonna di Polsi" ecc…

Tutte cose che passano, senza lasciare alcuna traccia, archiviate con un'alzata di spalle accompagnate da: "non sono cose che ci riguardano, sono cose che riguardano la Calabria, noi in Valle d'Aosta non siamo così, in fondo io mi faccio i fatti miei".

Non dico che dovrebbe diventare materia di studio nelle scuole, ma sono d'accordo con Isaia Sales nell'affermare che la storia della 'ndrangheta è parte integrante della nostra storia, il suo sviluppo e crescita non è solo un problema della Calabria ma è diventato un problema globale.

È uscita la notizia che il pentito Domenico Agresta, detto "Micu Mc Donald" , ha confermato che in Aosta esiste un locale ed è retto dai Nirta di San Luca, esattamente da uno di loro, un tale Di Donato. 

Come si diceva in una nota trasmissione televisiva, facciamo un passo indietro.

Cos'è la 'ndrangheta? È un'associazione per delinquere, quindi un gruppo di persone che si sono associate in una organizzazione, con delle regole, delle leggi, delle cariche. È nata in Calabria, il perché proprio lì è difficile da stabilire, tra il 1815 e 1835 con la fine del sistema feudale voluto da Giuseppe Bonaparte. È conosciuta da molto tempo. Nel 1892 a Palmi fu celebrato uno dei primi processi contro 150 imputati della zona di Gioia Tauro (picciotti) appartenenti a quella che era definita "picciotteria", chiamata anche in altri modi: "camorria", "famiglia Montalbano". Per la definizione giudiziaria di 'ndrangheta si dovrà attendere il 2010 con i processi "Crimine e Infinito".

La loro caratteristiche maggiori, che durano tutt'ora, sono: la "segretezza", "l'omertà", "l'invisibilità", il "legame famigliare di sangue" (se sei padrino di battesimo o testimone di nozze sei "compare" quindi della famiglia). Parimenti alla massoneria, da cui probabilmente i primi picciotti hanno imparato nel periodo in cui condividevano il carcere borbonico dell' isola di Favignana, la 'ndrangheta ha un corpus esoterico, leggende che fanno risalire la nascita della 'ndrangheta, camorra e cosa nostra, ai tre cavalieri della Caruña spagnola, Osso, Mastrosso e Carcagnosso (leggi l'articolo I Santi in Paradiso). Questi, dopo aver vendicato l'onore della sorella, non so se uccisa o violentata, si erano rifugiati, guarda caso, nell'isola di Favignana. Dopo 20 anni, si dividevano per recarsi nel Regno delle due Sicilie, Calabria, Campania e Sicilia, e fondare le tre organizzazioni, per noi criminali, per loro fondate per difendere i deboli, orfani e vedove (nel tempo sono normali le amnesie). L'organizzazione prevede una gerarchia con dei gradi "doti" a carattere iniziatico, che mano a mano che si sale, permette di conoscere i segreti dell'organizzazione. Questo è un metodo tipico delle sette, logge massoniche o comunque di organizzazioni di natura segreta o riservata. Il primo grado è "picciotto" il più alto è "Padrino".

Molti 'ndranghetisti, ancora oggi, sono convinti della fondatezza delle origini cavalleresche. Il mantenimento di riti esoterici sono il collante per far credere agli affiliati di far parte di una antica e potente consorteria che non ammette errori, "trascuranze", per quelle secondo loro gravi non ci può essere che la morte. Usano riti, linguaggi criptici per evitare che qualcuno che non appartiene all'organizzazione, chiamata "onorata società" possa infiltrarsi divenendo un pericolo, per questo i non appartenenti sono chiamati: "contrasti". Ci sono anche le eccezioni, i "contrasti onorati" , coloro che attendono di essere affiliati o coloro che pur non facendo parte dell' "onorata società" collabora con l'associazione. Il contrasto ha la coda e quando cammina la muove alzando la polvere quindi lasciando tracce. All'affiliato la coda è tagliata così dove passa non lascia traccia. È importante per loro rimanere nell'ombra e non farsi riconoscere. E chi li deve riconoscerli, sa come farlo. Non girano con la coppola, la giacca di fustagno, i gambali ai pantaloni, la cartuccera alla cintura e la doppietta alla spalla, ma sono lavoratori come gli altri, gentilissimi, rispettosi, al bisogno arroganti, cattivi, crudeli. Piuttosto subiscono, ma non si rivolgeranno mai alla "Legge" per cercare di risolvere un torto, perché hanno la loro "legge". Quanti "contrasti" si sono rivolti a loro, agli "uomini d'onore", per risolvere questioni, offese, litigi, estorsioni, minacce. Sicuramente hanno ottenuto giustizia, la loro giustizia perché utile a ingrandire la loro fama e chiedere poi in pagamento favori.

L'unità di base organizzativa della 'ndrangheta, è la 'ndrina. A differenza dei Clan della Camorra o delle Famiglie di Cosa Nostra, la 'ndrina ricalca i legami di parentela di una famiglia di sangue. Più 'ndrine, legate tra loro, formano "la Locale" , che le coordina. Affinché la Locale possa essere costituita, sono necessari 49 affiliati in totale. Ogni locale è diretta da una "Copiata", un triumvirato composto da un Capo Bastone (a cui gli affiliati devono obbedienza assoluta), un Contabile (che si occupa delle finanze), un Capo Crimine (che dirige e pianifica le attività criminali). Essendo criminali, ma non stupidi, nel tempo le rigide regole sono state ampliate, modificate, adattate al territorio in cui operano e per questo molti studiosi definiscono la 'ndrangheta "criminalità liquida"

Il discorso sarebbe ancora lungo, seppur interessante, e per chi ha voglia di approfondire lo rimando a una serie di volumi di studiosi molto seri del tipo: Ezio Ciconte, Isaia Sales, Antonio Nicasio, Nando dalla Chiesa e il Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. Libri che se non volete acquistare li trovate in prestito alla biblioteca Regionale di Aosta.

Torniamo a Domenico Agresta, detto "Micu Mc Donald". Classe 1988 è affiliato alla 'ndrangheta da quando è nato, perché figlio di 'ndranghetisti, cresciuto a "pane e 'ndrangheta". Condannato a 30 anni per l'omicidio di Giuseppe Trapasso, nel 2016 ha iniziato a collaborare con la D.D.A. di Torino (Direzione Distrettuale Antimafia, organo inquirente che ha competenza per delitti di mafia e altro nel distretto della Corte d'Appello. Da non confondere con la D.I.A. che è un organo interforze delle forze di polizia che ha quale prerogativa indagare sul fenomeno mafioso a livello nazionale. Nei distretti di Corte d'Appello esistono i "centri Operativi D.I.A.")

Micu ha vissuto a Platì (Reggio Calabria), a Volpiano (Torino) e a Buccinasco (Novara). La sua famiglia è una delle più potenti della mafia d'Aspromonte trapiantata al Nord, con i Marando, i Trimboli, i Molluso, i Papalia, i Perre e i Barbaro

Grazie alle dichiarazioni di Agresta, la D.D.A. di Torino ha concluso l'operazione "Cerbero" che ha condotto in carcere 56 persone per traffico di cocaina. Agresta non ha scelto di essere un 'ndranghetista, la sua colpa è essere nato in una famiglia sbagliata, infatti dichiarò: «Alcune persone sono state affiliate alla 'ndrangheta per le loro capacità. A me è successo da ragazzino, non per le mie capacità a delinquere, ma per la mia provenienza familiare». Infatti, suo padre, Saverio, oggi vive in libertà a Casorate Primo, provincia di Pavia: era considerato il capo società del locale di Volpiano. Il nonno Domenico era il capo della 'ndrangheta di tutto il Piemonte. Agresta è consapevole che, dopo il suo racconto, anche la madre: «non mi vorrà più come figlio. Lei è attaccata ai suoi fratelli, è stereotipata dalle regole della 'ndrangheta. Se si trasgrediscono le regole della 'ndrangheta non c'è affetto che conti. Questo vale anche per mia madre. Sono consapevole che questo percorso lo farò da solo».

Agresta durante la sua deposizione nel processo Geenna ha dichiarato che: «nel nostro ambiente certe cose si sanno, sono sottintese, e così, quando incontrai Giuseppe Nirta, (morto in Spagna n.d.r.) non avevo bisogno di chiedergli in modo specifico che era un affiliato ed era su Aosta: così come lui sapeva che io ero di Volpiano". Agresta ha anche spiegato che "mio zio, Domenico Marando, mi raccontò che le nostre famiglie erano sempre state unite". Inoltre, ha anche aggiunto che un "Di Donato" - di cui non ha fatto il nome- appartiene alla locale aostana: però non lo ha riconosciuto nelle fotografie che gli sono state mostrate. Come già spiegato da altri collaboratori, è importante conoscere gli "uffici" della 'ndrangheta sparsi per l'Italia o il mondo perché in caso di necessità è utile sapere a chi ci si deve rivolgere.

Non è stato l'unico collaboratore che nell'ultima udienza ha rilasciato dichiarazioni. L'altro è Daniel Panarinfo. Un "contrasto onorato" che aveva collaborato in Spagna e Torino con i fratelli Nirta, Bruno e Giuseppe. Commerciante ambulante, conosceva da tempo Bruno Nirta ed era entrato nelle sue grazie dimostrando capacità nel traffico di cocaina. Era convinto che la 'ndrangheta fosse quella di Osso Mastrosso e Carcagnosso, per poi rendersi conto che in realtà erano dei criminali e le decantate virtù cavalleresche erano solo delle fandonie. Da qui la fuga dalla Spagna e la decisione di collaborare. Anche lui conferma l'esistenza di una locale della 'ndrangheta in Aosta e indica nei Nirta i capi. È da ricordare che nel 2000, nell'indagine Lenzuolo, altri collaboratori di giustizia avevano confermato tale esistenza. Il più famoso di essi era Francesco Fonti, uno dei primi collaboratori che aveva svelato i riti e l'organizzazione della 'ndrangheta, ora defunto.

Ma chi sono i Nirta?

Fu proprio Fonti a spiegare che la capitale della 'ndrangheta era San Luca e la locale era detta "la mamma". A capo della locale c'era la famiglia, o 'ndrina, dei Nirta Scalzone, o la Maggiore. I loro nomi sono conosciuti come mafiosi dal 1869, quando due esponenti di cognome Nirta erano latitanti. Il Ministro dell'Interno dell'epoca, per incentivarne la cattura istituì un fondo straordinario di centro lire.

Inoltre, erano emersi nel "Summit di Montalbano". Questa era una località vicino al santuario di Polsi in cui annualmente si svolgeva - oggi in modalità diverse così come documentato da servizi del R.O.S. dei Carabinieri - la riunione "del crimine" della 'ndrangheta. In questo evento confluiscono i capi società o rappresentanti dei locali. Il 26 ottobre 1969, durante questa riunione, Giuseppe Zappia di San Martino di Taurianova nel suo discorso citò Giuseppe Nirta: «Qui non c'è 'ndrangheta di Mico Tripodo, non c'è 'ndrangheta di 'Ntoni Macrì, non c'è 'ndrangheta di Peppe Nirta: si dev'essere tutti uniti. Chi vuole stare sta e chi non vuole se ne va». Gli uomini delle Forze dell'Ordine riuscirono a infiltrarsi interrompendo il summit, insieme a Giuseppe, Antonio e Francesco Nirta vennero imputati del reato 416 del Codice penale altre 69 persone. Gran parte degli imputati vennero assolti. I Nirta citati sono tutti antenati dei Nirta presenti in Valle d'Aosta. Questi si stabilirono in Valle alla fine degli anni 50 e inizio 60. La loro specializzazione criminale era il traffico di cocaina. Nel 2008 il R.O.S. di Torino arrestava i fratelli Domenico e Giuseppe Nirta, cugini di Bruno e Giuseppe Nirta morto in Spagna, per traffico internazionale di stupefacenti.

La storia sarebbe ancora lunga e per certi versi coinvolgenti. Bisognerebbe avere la pazienza di cercare i documenti e ricostruire le vicende, perché i fatti presi singolarmente rappresentano storie più o meno interessanti. Assomigliano alle tessere di un mosaico: viste da vicino sono solo piccoli frammenti colorati, ma guardati da più distanti e magari con la luce giusta sono un come un dipinto, una decorazione con un senso. La ricerca sarebbe utile per comprendere come questi criminali sono riusciti a penetrare nella società valdostana. Chi fosse disposto a fare questa ricerca, batta un colpo.

 

Paolo Alessandro Garberoglio

(foto da Wikipedia CC BY-SA 4.0)

 

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