Aosta e Pont-Saint-Martin i Comuni più esposti alla cementificazione. SNPA: così si riduce l'effetto 'spugna' del terreno
In Italia il consumo di suolo rimane ancora troppo elevato e continua ad avanzare al ritmo di circa 20 ettari al giorno ricoprendo nuovi 72,5 km2, ovvero una superficie estesa come tutti gli edifici di Torino, Bologna e Firenze. È quanto emerge dal rapporto del Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale che anno dopo anno tiene traccia di quanto territorio italiano viene "consumato".
A livello nazionale i dati del 2023 mostrano una incremento rallentato, ma sempre al di sopra della media decennale di 68,7 km2 (2012-2022) e solo in piccola parte compensata dal ripristino di aree naturali. Il recupero delle aree infatti vale poco più di 8 km2, dovuti in gran parte al recupero di aree di cantiere.
La Valle d'Aosta non è immune a questo andamento. Nel 2006 il suolo consumato era pari a 6797 ettari, pari al 2,08 per cento del territorio. Nel 2023 questi numeri sono aumentati a 7039 ettari consumati, il 2,16 per cento. I Comuni più esposti alla cementificazione sono Aosta, Pont-Saint-Martin, Verrès, Saint-Christophe e Villeneuve. Nel capoluogo regionale la superficie utilizzata è pari al 29,24 per cento (era il 28,88% nel 2006); nel Comune al confine con il Piemonte il consumo di suolo è pari al 17,69 per cento (17,56%) mentre a Verrès il dato è al 14,53 per cento (14,5%). Infine a Saint-Christophe il consumo di suolo è pari all'11,81 per cento (10,81%) e a Villeneuve è del 10,88 per cento (10,74% nel 2006).
Allo stesso tempo undici Comuni (Bionaz, Champorcher, Cogne, Issime, La Thuile, Ollomont, Oyace, Pontboset, Rhêmes-Notre-Dame, Valgrisenche e Valsavarenche) sono sotto la soglia dell'1 per cento.
Tra gli effetti di questo fenomeno, il report del Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale cita la riduzione del cosiddetto "effetto spugna", ossia la capacità del terreno di assorbire e trattenere l’acqua e regolare il ciclo idrologico. Secondo le stime, questa condizione «costa al Paese oltre 400 milioni di euro all’anno. Un “caro suolo” che si affianca agli altri costi causati dalla perdita dei servizi ecosistemici dovuti alla diminuzione della qualità dell’habitat, alla perdita della produzione agricola, allo stoccaggio di carbonio o alla regolazione del clima».
Marco Camilli