E' arrivata alla corte federale di Manhattan, giovedì 19 gennaio sera, la domanda fallimentare da parte del prestatore di criptovalute Genesis. Un'ultima vittima nel contagio del settore causata dal crollo di FTX e un urto destabilizzante all'azienda Digital Currency Group (DCG), di Barry Silbert, di cui era proprietaria.
Una notizia che era nell'aria vista la sospensione dei prelievi e gli stop ai prestiti, da parte di Genesis, già da metà novembre.
Il disastro di Genesis
La società ha elencato oltre 100.000 creditori in una esorbitante dichiarazione di fallimento, con passività aggregate che vanno da 1,2 miliardi a 11 miliardi di dollari, secondo i documenti in questione.
Per le sue holding sono state presentate tre petizioni separate. La società ha dichiarato che le aziende erano coinvolte solo nell'attività di prestito crittografico di Genesis e che l'attività di trading di derivati e spot continuerà senza ostacoli, come Genesis Global Trading.
In una dichiarazione del 20 gennaio, la società madre di Genesis Capital, Digital Currency Group (DCG), ha negato di essere parte integrante nella dichiarazione di fallimento di Genesis. Un gruppo speciale di amministratori indipendenti, secondo DCG, avrebbe deliberato autonomamente di presentare istanza di fallimento ai sensi del Chapter 11.
Queste le parole di Genesis Derar Islim, il CEO ad interim: "Non vediamo l'ora di portare avanti il nostro dialogo con DCG e i nostri consulenti dei creditori mentre cerchiamo di implementare un percorso per massimizzare il valore e fornire la migliore opportunità per la nostra attività di emergere ben posizionata per il futuro. Una ristrutturazione in tribunale rappresenta la strada più efficace attraverso la quale preservare i beni e creare il miglior risultato possibile per tutte le parti interessate di Genesis”.
L'effetto domino
Con Genesis, tra i migliori crypto broker del settore, si contano sei fallimenti in tre mesi. Un effetto domino derivato dalla caduta di FTX, l’ex numero due mondiale di compravendite di monete digitali. Infatti, Alameda Research, l'hedge fund di Sam Bankman-Fried capo di FTX, attualmente sotto processo, e responsabile del crollo della piattaforma di trading di derivati e della perdita di circa 30 miliardi, è tra i più grandi debitori di Genesis.
Così la società ha iniziato a traballare, ma nemmeno il licenziamento del 30% dei suoi dipendenti, agli inizi di gennaio, ha evitato il tracollo. Poi, si sono intersecate l'inflazione, i costi energetici e le questioni geopolitiche che hanno dato una stretta alla politica monetaria che, a sua volta, ha portato ad una sempre minore circolazione di liquidità. Che si è tradotta nell'ultima scatenante causa che ha generato il crac di Genesis.
Ora, nella lista dei suoi clienti annovera realtà importanti, come Gemini. Fondata dai gemelli Winklevoss, celebri per aver denunciato Mark Zuckerberg per il furto dell'idea di Facebook, Gemini rischia di perdere un miliardo di dollari per crediti vantati con Genesis. Poi ci sono altre entità come Donut, una piattaforma decentralizzata ad alto rendimento a cui deve 78 milioni, e un fondo VanEck, con un prestito da 53,1 milioni di dollari.
Una banca delle crypto
Come una banca del mondo delle monete digitali, Genesis nasce nel 2013 a New York e si è consolidata nel tempo come una realtà solida, affidabile e sicura. Accetta dei depositi dai clienti con la promessa di un alto rendimento. Gli stessi depositi vengono prestati a hedge fund e ad altri soggetti con un tasso ancora più cospicuo. I mutuatari spesso utilizzano i fondi, generalmente come crypto per speculare sugli stessi mercati di monete digitali.
È stato considerato dal Financial Times come “lo sportello più grande per investitori professionali nel mercato delle criptovalute”.
La rovina di Genesis è un altro esempio di duro colpo inferto al settore delle crypto, che ha appena vissuto un anno particolarmente turbolento. Per ora, l'unico che sembra aver guadagnato da questa vicenda è stato Bitcoin che proprio nei giorni in cui Genesis dichiarava bancarotta, è risalito a 23.000 dollari, un incremento che non vedeva da mesi.