Covid e cure psichiatriche, Beoni: «Potenziare l'intervento su tutto il territorio»

Nessuna chiusura dei presidi psichiatrici territoriali che rimangono aperti a Donnas, Verrès, Châtillon e Morgex


Psichiatria

 

L’emergenza Covid sta sempre più convogliando le forze mediche attorno alla pandemia e ai centri che se ne occupano, in Valle ovviamente Aosta con l’Ospedale Regionale Valle d'Aosta Umberto Parini. Il rischio però è quello che, come sussurrano voci di corridoio nella sanità, si vadano a chiudere gli ambulatori territoriali, a partire da quelli psichiatrici, così fondamentali per la salute e il sostegno dei cittadini, soprattutto in un momento complesso come quello che si sta vivendo.

A questa ipotesi risponde la Dottoressa Beoni, Direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell'Usl della Valle d’Aosta. La sua visione, già in parte operativa, mira a estendere la capillarità dell’intervento sul territorio e non certo a diminuirlo.

Dottoressa Beoni, è vero che si sta ipotizzando di chiudere i presidi psichiatrici territoriali?
«L’azienda ha dato delle indicazioni lasciando una certa autonomia a ciascun dipartimento. Il mio dipartimento, quello di salute mentale, ha deciso di mantenere aperti tutti gli ambulatori, sia quelli ad Aosta che sul territorio. Rimarranno dunque operativi gli ambulatori di Donnas, Verrès, Châtillon e Morgex, e anche gli ambulatori in telepsichiatria a Donnas e Châtillon. La chiusura degli ambulatori aveva il significato di spostare i medici nei reparti Covid, ma chiudere quelli della psichiatria significherebbe creare un’emergenza che poi va a riversarsi sul pronto soccorso e sul reparto. Noi abbiamo la possibilità di effettuare visite urgenti ogni giorno, dalle 13 alle 15, e i pazienti con problematiche psichiatriche possono recarsi h24 al Pronto soccorso del Parini, ma la chiusura degli ambulatori causerebbe un incremento significativo dell’afflusso in Pronto soccorso e creerebbe un disservizio enorme, a carico del Parini che in questo momento deve far fronte ad altri tipi di emergenze, quelle che conosciamo. Insomma, cerchiamo di alleggerire mantenendo un’attività autonoma».

In questo momento anche il reparto di psichiatria è in carenza di personale?
«Si, siamo anche noi in carenza di personale. Ora ci saranno i concorsi ma la scarsità di personale medico e infermieristico è ubiquitaria, riguarda tutta l’Italia ed è un problema difficile da risolvere. Diciamo che la psichiatria ha una grande attività riabilitativa e territoriale. La mia idea è quella di potenziare l’attività di educatori, psicologi e infermieri sul territorio. L'obiettivo è quello di creare equipe multidisciplinari che vadano a trovare a casa i pazienti, in modo che lo psichiatra rimanga in seconda battuta. Per la diagnosi e la terapia farmacologia ovviamente interverrà lo psichiatra ma per un monitoraggio a domicilio o nelle comunità potranno intervenire anche altre figure, come gli infermieri, gli assistenti sociali, gli psicologi e gli educatori». 

In che modo pensate di creare questo circuito?
«Ad oggi abbiamo già un équipe multidisciplinare formata dalla coordinatrice infermieristica, dall’infermiere di territorio, da educatori e uno psicologo psicoterapeuta. È importante però. potenziare questa équipe perché ora riusciamo a muoverci ad Aosta e nei dintorni. Andare in bassa o in alta valle è più difficile perché comporta la presenza di un numero di persone maggiore. Un potenziamento consentirebbe un intervento più capillare su tutto il territorio».

Forse la pandemia ha acceso la luce sulla salute mentale e sul diritto di ciascuno di prendersene cura, a prescindere dalla condizione economica. Eppure poi un progetto come quello del “bonus psicologico” viene bocciato dal governo. A sua vista quali sono le ragioni della scarsa considerazione che ancora oggi caratterizza la salute mentale?
«I finanziamenti vanno gestiti bene. In Valle d'Aosta siamo abbastanza fortunati rispetto ad altre regioni perché abbiamo un buon finanziamento per i progetti riabilitativi e terapeutici, abbiamo comunità sul territorio regionale sia per le dipendenze che per la psichiatria. L’obiettivo, che stiamo già attendo in atto, è che l’utente passi in reparto SPDC (Servizio Psichiatrico Diagnosi e Cura) il minor tempo possibile e che la permanenza in una comunità abbia tempi limitati per evitare il cronicizzarsi del paziente. Dobbiamo puntare all’alloggio assistito o al gruppo appartamento. Così riportiamo l’utente a vivere in società e in autonomia con una stampella che potrebbe essere rappresentata dal servizio di educativa territoriale o dall’infermiere di territorio che monitorano la situazione. La gestione di un bonus psicologico deve essere finalizzata a un miglioramento delle condizioni del paziente e quindi a un effettivo monitoraggio della situazione. Deve essere un qualcosa di mirato in modo tale da creare un progetto riabilitativo e la riabilitazione deve passare attraverso un reinserimento dei pazienti nella società».

 

Veronica Pederzolli 

 

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